La Dirigente

E come al solito timbro il cartellino all’ingresso dell’ufficio.

Fa freddo, la ragazza alla reception accenna un saluto, che contraccambio.

Ho 40 anni, impiegato di medio livello che, in un’azienda come questa, significa che faccio di tutto: dalle fotocopie al sistemare le fatture nei faldoni.

“Barzini, lei arriva sempre presto ed è l’ultimo ad uscire”.

È la Dottoressa Mischi, la direttrice del reparto. Forse della età mia, capelli sempre raccolti, vestiti sempre lunghi e dalle tinte smorte, ma di gran pregio. Credo che qualche casa di moda li faccia su misura per lei: di pregio, ma da vecchia.

“Dottoressa, mi piace trovare parcheggio e arrivo presto e non mi va di lasciare le cose a metà, quindi vado via tardi”.

“Oppure, lo fa per farsi notare?”

“Credo che lo abbia notato solo lei, forse perché anche lei arriva presto ed esce tardi”

Mi lancia uno sguardo malizioso, come per dirmi ‘a te t’ho capito’ e se ne va.

Ma chissà veramente cosa ha capito. Ciascuno capisce sempre quello che vuole.

Sono le 18.00, mi arriva una sua e-mail. Sono le indicazioni per una ricerca di dati. Mentre sto leggendo mi chiama all’interno.

“Signor Barzini, ha letto la mail?”  non mi lascia rispondere, dà per scontato che l’abbia fatto. “sono dati che mi servirebbero per questa sera, ho una riunione e …”

“Certo dottoressa, mi metto subito alla ricerca”

“Spero di non farla rimanere più del solito” La voce sembra ammiccante, alla luce di quello che mi aveva detto di mattina, penso che mi voglia mettere alla prova.

“se sarà necessario, rimarrò, ma mi è sembrato di capire forse sarà lei che dovrà rimanere fino a tardi”

“Vediamo, aspetto i dati” È diventata gelida, mi metto all’opera.

Sono le 19.30, busso alla sua porta con il faldone, e prima le avevo mandato una e-mail con i prospetti.

“Grazie Barzini, poggi pure lì”. Il suo ufficio era immenso. Oltre alla scrivania c’è un tavolo con una vastità di posti a sedere, mobili molto ricercati, due divanetti ai lati di un tavolinetto basso. Esteticamente era tutto anni 70. Vecchi mobili, come se fossero del precedente direttore.
“Sto leggendo la sua e-mail Barzini. Ma non riuscirò mai a mandare a memoria tutto, le chiedo troppo di rimanere per questa riunione? Averla al mio fianco per me sarebbe molto importante”

Non posso rifiutare. È ovvio che mi sta dando un ordine, ma lo sta facendo con una dolcissima implorazione, sottolineando quanto sia importante il mio ruolo.

“Dottoressa, certo, rimarrò qui”

“Grazie”

Quel grazie sugella la sua vittoria. Le piace aver ottenuto quello che voleva. Mi ha fatto tornare alla memoria una bimbetta con la quale giocavo da bambino, una volta litigammo, passava di là mio zio che le dette ragione, ed ora vedevo nella direttrice lo stesso sorrisetto compiaciuto.

La riunione su teams iniziò. Effettivamente lei non avrebbe avuto il tempo per leggere i dati che le avevo mandato.

I suoi interventi erano netti, taglienti. Solo uno degli altri partecipanti si permetteva di farle domande e lei era molto preparata. Un paio di volte, sempre su domande dell’unico che le faceva, dovetti intervenire con dei dettagli.

La riunione finì, erano quasi le dieci.

“Barzini non abbiamo mangiato, le devo una cena, che ne dice, mi fa compagnia?”

“Dottoressa, credo che ora troveremo tutto chiuso”

“Ma che dice! Mica siamo nella sua Firenze!”

Sapeva anche le mie origini toscane. Magari le sapeva di tutti quelli del gruppo.

“Andiamo che il taxi ci aspetta”

Ristorante nella periferia di Roma, elegante, con luci soffuse, forse per creare un ambiente più riservato.

“Questi posti non accendono le luci per darsi un tono o per non far vedere quello che ti portano?”

“Credo che sia proprio il tipo di locale, permette …” mi avvio verso il cameriere

“Ma Barzini, lasci stare. Gabriele, grazie come al solito lei è impagabile”

“Carissima, averla è sempre un piacere”

“Barzini, a me queste riunioni mi mandano sempre in orbita. Sono sempre sovraeccitata quando finiscono, mi fa piacere che ci si sia lei, mangiare da sola mi avrebbe veramente devastata”

Mangiamo, beviamo. Anzi, beve.

“Barzini, ma non mi dica che lei è astemio!”

“Si Dottoressa.”

“Queste cose le dovrebbero mettere nei profili dei dipendenti, sicuramente se l’avessi saputo non l’avrei tenuta nel mio gruppo”

Ridiamo.

“E mi dica, moglie, famiglia…”

“Dottoressa, separato. Lei sta in un’altra città, abbiamo preso strade diverse”.

“Bravi, non si devono stiracchiare rapporti ormai consumati.
“Ma, Luigi, non ti va di chiamarmi Luisa?”

“Con piacere Luisa. Ma … per questa sera?”

“Certo, mica ti staranno venendo idee strane in mente?”

Ormai l’alcool inizia a fare effetto.

La cena è finita, ormai è passata la mezzanotte.

“Luigi, chiama Gabriele per favore e fa venire un taxi”.

Il cameriere Gabriele sembrava già preparato. Come se non fosse la prima volta che Luisa arrivasse in quella situazione.

Luisa si appoggia al mio braccio. Sento tutto il suo peso.

“Sai, non è poi così male avere un accompagnatore sobrio. Dì a Gab che regolo tutto con l’amministrazione domani”

“Dottoressa, certo, non si preoccupi, lei è sempre la benvenuta” Gabriele ha sentito

In taxi, Luisa mi confida “Non sono così sconvolta come ho dato a intendere. Non ho poi bevuto così tanto, ma avevo lasciato la carta in ufficio” si leva le scarpe e mi poggia i piedi sulle gambe.

Nell’abitacolo del taxi è buio, ma le luci della strada illuminano velocemente l’interno. Riesco a vedere le sue calze, delle gambe poggiate sulle mie. Belle calze, con la riga. Le unghie dei piedi sono tinte, un colore che non capisco nel buio.

“Stai pensando, ma porta calze, o collant?”

“Ma che dici. Non penso a nulla. Sto pensando che oggi ti ho vista lavorare, sei una tigre, preparata, tagliente. Mi ha fatto piacere poter partecipare”

“Dai, tutti i maschi pensano ‘ma ha collant o calze’. Ma tu pensi a quando stavo in riunione. Oppure, è un modo per non dirmi che ci hai pensato. Ti sarai accorto che hanno la riga.”

“Sì, me ne sono accorto. Mia mamma diceva sempre che le calze con la riga dietro erano difficili da mettere, perché la riga doveva essere al centro, dritta e non tutte le donne avevano le gambe dritte”

“E tua mamma, le gambe dritte, le aveva?”

“Non lo ricordo. E poi non ricordo di averla mai vista con le calze con la riga”

“Appunto calze, quindi… non ho collant. Ma saranno autoreggenti o porto anche il reggicalze?”

“Luisa, non ne ho la più pallida idea, dai, non è il caso. Avevi detto che non eri così ubriaca”

“Sconvolta, lo preferisco a ubriaca. Ubriacarsi mi fa venire in mente le bettole, piene di vecchi, che giocano a carte e puzzano”

“Vero, le persone sono diverse, ma l’effetto dell’alcool è lo stesso”

“Eh no, vorrai dire che lo campagne faccia lo stesso effetto della birra Moretti?”

“Non lo so, hai ragione, sono stati di ebrezza diversi e il tuo è migliore” non vedevo l’ora che il taxi arrivasse a casa sua

“Caro Luigi Barzini, impiegato di sesto livello, sappi che non è la stessa cosa. I vizi vanno vissuti con stile”.

“Hai ragione Dottoressa Luisa Mischi, ora siamo arrivati ce la fai ad andare su a casa da sola?”

“Ti prego, accompagnami”

L’aiuto a rimettersi le scarpe, a sistemarsi un po’ per uscire dal taxi, la notte è fresca, ma non fredda e l’aria è piacevole. Lei mi guarda un po’ imbronciata, un po’ triste, la testa piegata aspettando il mio rimprovero.

“Certo che ti accompagno”

“Ecco caro, vada via!” Allunga 50 euro al tassista e vedo andare via la mia speranza di tornare all’ufficio dove c’è la mia auto. A meno di non chiamare un altro taxi che mi devo pagare io.

“Dai Luigi Barzini, ecco le chiavi, fa il gentiluomo, apri la porta e fammi salire”

Cerco la chiave giusta per aprire il portone, si vede che è spazientita, sta rientrando nel ruolo della dirigente insoddisfatta.

Stessa storia davanti alla porta di casa.

Entrati accende le luci con un comando vocale.

Casa immensa, soggiorno grande come tutto il mio appartamento.

Si libera del soprabito lasciandolo cadere a terra, lo raccolgo.

Se ne accorge “Bravo caro, trovagli un posto”. Alle volte si comporta come ubriaca, altre come una bambina viziata troppo cresciuta. Il soprabito è esattamente in linea con il suo vestito: buon taglio, buon tessuto, ma da persona vecchia. Lo poggio su una sedia del soggiorno.

“Luisa, se non c’è altro io andrei, si è fatto tardi, mi ha fatto molto piacere cenare con te, ma domani si lavora…” continuo a parlare e dire cose per riempire l’aria. Ma lei è andata nella zona notte e quando torna si è levata le scarpe. Alla luce vedo meglio i suoi piedi scalzi. Sì, le calze sono con la riga dietro e credo che siano anche piuttosto costose.

“Smettila e aiutami con il vestito”

Si gira scostandosi i capelli, che aveva sciolto.

La abbasso la zip.

“Luigi Barzini, non si faccia venire in mente idee. Stia tranquillo al suo posto”. L’ha fatto di proposito. Sicuramente il vestito se lo poteva aprire da sola, ma ha voluto che l’aiutassi, per dirmi che quel gesto, non era un invito a niente altro. “Volevo solo farle vedere, derimere il dubbio calze autoreggenti, o reggicalze? Così da soddisfare la sua curiosità da maschio represso.” Lascia scivolare il vesto e si mostra nella sua intimità. Sottoveste rosa, di seta. Si vede da sotto le balze delle calze, i lacci del reggicalze. “Ma questo è il massimo che potrà vedere”

“Bene, dottoressa, allora io vado” È ubriaca, sta facendo la stronza sto scoprendo un lato di lei che non avrei voluto vedere, mi sembra che il momento di andare via.

“Barzini, se esce da quella porta, si dovrà trovare un altro posto di lavoro”.

“Dottoressa, mi scusi, ma non crede che stia diventando tutto poco professionale?”

“Professionale? Ma chi ha parlato di professionale. Se ora mi mettessi ad urlare, se sbattessi più volte contro lo spigolo del tavolo, se mi strappassi la sottoveste “ E prende in mano la spallina “chi potrebbe pensare altro che non sia lei che abbia voluto abusare di me?”

“Va bene, mi dica quello che vuole, non la strappi la prego”.

Perché non la deve strappare? Perché è una bellissima sottoveste, di seta, ho riconosciuto la marca. Ho sempre sognato di poterla vedere, carezzare. Non voglio che la strappi.

“Luigi, ma sta tranquillo. Questa casa ha più video camere di sorveglianza che prese di corrente. Tranquillo, ma … non ci davamo del tu?”

“Sì, Luisa, ci davamo del tu.”

“Ecco, tu continua a darmi de lei, spogliati.” Rimango interdetto “completamente”.

Sento come una scossa nella schiena. Sì, lo voglio. Voglio che lei mi dica cosa fare, voglio che sia lei a condurmi a fare qualunque cosa. L’ho sempre accettato sul lavoro, e tutti avranno pensato che lo facessi per un discorso di ruolo. Non è così, voglio che sia lei a dirmi quello che devo fare. Voglio che sia lei a dirmi se sono stato bravo, o cattivo. Che mi insegni e io farò tutto quello che è nelle mie capacità per compiacerla e ricevere un suo apprezzamento positivo.

Mi spoglio, mi levo la giacca, la camicia.

“Lo sai, immaginavo che tu fossi quel tipo di maschio che piega i vestiti mentre li leva.”

“Dottoressa, spero che le faccia piacere”.

“Me lo aspettavo, forse sì, mi fa piacere”

Rimango con le mutande. Ho già levato scarpe e calzini.

“Strana questa cosa, in genere i maschi restano con i calzini. Forse perché hanno freddo ai piedi, oppure perché hanno fretta di tirarlo fuori. Tu non hai fretta di tirarlo fuori?”

“Dottoressa, non ho nessuna fretta, mi creda”

“Fammi vedere” abbasso le mutande. Il mio pene è stato sempre di modeste dimensioni. Le donne non me lo hanno fatto mai notare, ma in alcune la loro delusione era palese. Il maggior disagio l’ho sempre avuto nelle palestre. Lì era palese chi fosse dotato, super dotato e chi era come me.

“Dai, che fai, ti nascondi?” levo le mani.

“Com’è piccolino, dai, è sempre così? Forse ora è il freddo che lo fa rimpiccolire”

“E’ sempre così, alle volte un po’ più lungo; forse sì, il freddo influisce negativamente”. Cerco di rimettere insieme il mio orgoglio maschile, aggrappandomi al piccolo alibi del freddo.

“E’ stupendo sai. Aspetta, sta in piedi bello dritto, come alla visita di leva” Mi fissa mi gira intorno. “hai un po’ di pancetta, ma un po’ di palestra? E niente peli, interessante”.

Ma che vuole da me questa stronza!
Ma spero che non smetta.
Non vorrei stare in nessun altro posto e rimango in piedi, a lasciare che lei mi guardi a vivere quel momento di umiliazione, ma anche di liberazione. Non ci sono più vestiti che mi nascondono, ma questa esposizione voluta ma anche forzata, mi libera dalla paura che ciò possa accadere.

“E dimmi Luigi, non hai qualche curiosità su di me, oppure il calze-reggicalze è il massimo che voi maschi potete avere?”

“Veramente…”

“No, zitto, era una domanda retorica, non voglio risposta.” “aspettami e non ti muovere”

Ma non è stanca, non vuole andare a dormire? Forse l’eccitazione della riunione con il vino è diventata altro.

È ancora in sottoveste, sempre con i capelli sciolti. Sarà la direttrice, avrà pure il potere di licenziarmi, o peggio, ma i suoi movimenti sono dolcemente femminili. Sicuramente è la sottoveste che rende dolce la sua figura.

Rimango sbalordito.

“Tu sta sempre lì dritto, va bene soldatino?”

Sotto ad una lampada ad arco, ha spostato una sedia. Si mette seduta, si poggia al tavolo, accavalla le gambe. Con una mano fa scendere una spallina della sottoveste. Poi la sposta e fa scendere anche l’altra. Si alza, la sottoveste inizia a scendere ma lei la tiene con l’altro braccio, piegato sotto il seno. Si gira, fa qualche passo verso di me, è un incedere misurato, delicato ma sicuro. Si gira e la sottoveste scende completamente. Si vede il reggiseno, il reggicalze, le calze agganciate e le mutandine tutto coordinato, di seta, rosa. Si inchina per raccogliere la sottoveste e il suo sedere è magnifico, perfettamente delineato, stupendamente ornato dalla biancheria. Si china per mostrare il sedere, non lo fa piegando le gambe. Si rialza e girata verso di me: “Caro il mio soldatino, sembra che non ti faccio nessun effetto” Mi passa la sottoveste sulla pelle e la reazione è immediata. L’eccitazione è praticamente istantanea, ingovernabile.

“Ma Barzini! Si eccita per la mia sottoveste e non per avermi vista senza?
“Non mi dica che lei, adora questi abiti”

Come posso affermare il contrario? Un maschio non può nascondere cosa lo eccita.

“Dottoressa, le è una bellissima donna, e ha un gusto stupendo” credo di parlare, ma l’eccitazione mi strozza le parole in gola.

“Bravo Barzini, beh, se le piace, la tenga”

Mi poggia la sua sottoveste sulla mia spalla. Il contatto è delicato, lo adoro. Mi è sempre piaciuto l’intimo delle donne, le sottovesti di mia mamma, le mutandine. Tutto quello che una donna porta sotto i vestiti. Tesori conturbanti, che la donna di oggi, sempre indaffarata, sempre di corsa, sempre più maschile, rifiuta.

“Ma Barzini, se le piace così tanto, perché non la mette?” vede che sono titubante “Orsù, si vergogna forse!”

Non me lo faccio dire un’altra volta. La maneggio con la maggior delicatezza possibile, è di una preziosità unica. Cerco il verso giusto. Dal bordo inferiore, infilo la testa le braccia. Mi sta decisamente piccola

“Faccia attenzione, non è seta, ma se me la rompe mi dispiace.

” Vedo che questa cosa la eccita tantissimo, se la sente di continuare, oppure… ”

“Sì, certo”

“Le sta piccola e la rende ridicolo. La levi, subito”

Mi prende dal suo cassetto dell’armadio un reggiseno, delle mutandine, delle calze.

“Si affretti Barzini, voglio vedere come sta.”

Infilo le mutandine. Il pene le bagna subito. Il reggiseno è un attimo, lo metto e lo aggancio, raccolgo il suo compiacimento nel vedermi che lo so fare. Le calze sono delle autoreggenti, le infilo e me le sistemo sulla coscia, completamente glabra.

“Mi dica la verità, non è la prima volta”

Io dopo aver indossato sono tornato in piedi, dritto.

“No dottoressa, non è la prima volta”

“Il corpo depilato, interessante. Molto interessante.” Vede che mi sto chiudendo in me, vede il mio dramma.

“Eh Barzini! che faccia! Mica ha ammazzato nessuno, crede forse che sia il solo a fare queste cose? Sono contenta che si sia aperto con me. Sa, sono stanca di questi maschi tutto cazzo e cazzotto, che ordinano vogliono e poi non fanno nulla. Io non l’avevo inquadrata Barzini, lei è un caro ragazzo. Per oggi basta, chiami un taxi. La prego, tenga tutto, non mi andrebbe di mettere quelle cose ora. Si rivesta… sì, metta i suoi vestiti sopra.”

Le telecamere, mi avrà certo fatto delle foto, e le sarà piaciuto giocare con me, con il mio imbarazzo con il fatto che ora sa, che ora mi può umiliare in pubblico. Ma quello che provo è una sensazione di leggerezza, di libertà. Sono felice. Vedo solo i vantaggi. Lei che mi domina, lei che mi dice cosa fare, io che ubbidisco e, nella mia follia, non sono più sola.

 

Il giorno dopo.

 

“Barzini! Sempre mattiniero, ma come fa!”

“Buongiorno Dottoressa, l’abitudine”

“Belle abitudini. Ma presto, ne imparerà altre.”

Cosa vuole intendere; davanti a tutti poi. In ufficio ci sono solo donne oltre a me e tutte hanno fatto caso alla frase.

Nel pomeriggio mi chiama all’interno Orazio. Un collega della logistica. Ci vediamo alla macchinetta del caffè. Non è proprio un amico, ma c’è sempre stata una certa apertura.

Mi offre il caffè alla macchinetta. Lo vedo strano, come se volesse dirmi qualcosa. Forse perché ho qualcosa da nascondere oppure mi sembra a causa della stanchezza.

Dopo i convenevoli, qualche apprezzamento su altri colleghi, ci salutiamo.

Perché mi voleva parlare?

Avrà capito, saranno iniziate a girare voci? Ci avranno visti uscire insieme? Ah, certo, il conto per una cena in due. Ma non c’era il mio nome. Sicuramente ci avranno visti uscire.

Torno in ufficio.

Mi chiama all’interno.

“Tranquillo Barzini, non mi commetta l’errore di lasciarsi trascinare in queste dinamiche da chiacchiericcio di corridoi”

“No dottoressa, sono tranquillo, non abbiamo detto nulla”

“Infatti, ma qualcuno vi avrà visto parlare, e se chiede qualcosa a Marchini, lui potrà dire e non dire. Comunque avrà quel briciolo di importanza al semplice costo di un caffè. Perché do per scontato che abbia offerto lui, vero?”

“Sì, ha offerto lui, ma non è la prima volta”

“Ok, senta, ma poi a casa, con quello che sa, ha fatto le cose che fate sempre voi maschi… “ strascina le parole, “ma sì, con la mano, mi ha capita su”

“No Dottoressa, assolutamente no”

“mmmmmm “, incredula

“Non senza il suo permesso”

Chiude la conversazione.

Voglio assolutamente che per lei sia chiaro che accetto il ruolo di totale sottomissione.

 

Torno a casa, è tardi, tiro fuori qualche avanzo dal frigorifero e lo riscaldo.

Mi arriva un messaggio

‘Ha il mio permesso’

Rispondo subito ‘grazie per me è una gioia’

Quando la sera prima ero rientrato a casa avevo riposto tutto in un cassetto dell’armadio. Riapro il cassetto, sono felice di ritrovarli. Sono solo stoffe, cucite, ma mi riempiono di felicità. È come se nel mio mondo grigio, si apre una porta e io possa entrare in un mondo colorato, profumato, ricco di gioia.

Sono completamente nudo e inizio a mettere i suoi indumenti. Il reggiseno. Infilo le braccia nelle bretelline, lo sistemo come se avessi il seno. La posizione delle braccia quando lo aggancio è lo stesso che ho visto fare alle donne. Mi fa sentire un passo più vicino a loro. Le mutandine hanno i segni della sera prima. Avevo iniziato a inumidirmi e le ho sporcate. Ora sono nuovamente eccitato. Le calze. È stupendo e una volta pensavo che non sarei mai stato capace di metterle.

Ne preparo una, arrotolandola in mano, cercando la punta. Infilo il piede, la sistemo e poggio la punta, nell’arco del piede faccio passare la calza arrotolata, alzo il tallone e tiro su la calza lungo la gamba. Poi l’altra calza. Le sistemo sulle gambe.

Mi guardo allo specchio.

Eccomi nella versione minima. Eccomi con il pene in mano, davanti lo specchio: una femmina che si masturba.

 

La mattina, in ufficio

 

“Barzini buongiorno, puntuale, ma le vedo un po’ sciupata”

Sciupata, al femminile perché mi dà del lei, o al femminile per un vezzo personale?

“Dottoressa, capita di andare tardi a dormire”

Neanche mi risponde e va in ufficio. Sento gli occhi delle colleghe su di me. Ormai le voci girano, soprattutto le fantasie. Ma non so esattamente cosa si dica.

Mi arriva un messaggio sul telefono.

‘Ieri mi aspettavo un riscontro. Ora subirà pubblicamente un’umiliazione’

Arriva poco dopo Donatella. “Luigi, il capo ti vuole parlare”.

“Vado”

“Non è proprio serena”

Entro nell’ufficio.

La Dottoressa Mischi è una furia.

I dati che le ho portato pare fossero errati. Sì, i dati della riunione della sera di qualche giorno fa.

Sono veramente amareggiato. Le ho chiesto di avere la possibilità di rivederli.

Praticamente urlando mi ha detto di andare a rivederli e che non vuole che si commettano simili leggerezze.

Quando arrivo alla mia scrivania mi arriva un messaggio ‘Scemo, non perdere tempo a rivedere i dati. Andavano bene. Ma ora tutti in ufficio sapranno che hai fatto un errore e io sono arrabbiata con te. Questa notte vieni. Alle 20.00. Puntuale’

Mi sono sentito veramente una spazzatura. Riesce ad assumere toni e toccare punti che mi devastano moralmente.

Credo che se non avessi trovato quel messaggio, mi sarei licenziato, o avrei chiesto di andare a lavorare in un altro ufficio.

Nessuno osa parlarmi. C’è in ufficio un’aria tesa. Ma io sono al settimo cielo.

La mia recita sembra sia stata credibile.

Quando la Dottoressa esce e se ne va, ha cura di salutare tutti, tranne me.

Alle 20.00 in punto suono al citofono.

Salgo. Lei saluta sorridendo. “Luigi, oggi abbiamo dato spettacolo”

“Tu hai dato spettacolo, sei stata stupenda”

“Ti piace essere maltrattato?”

Sì, mi piace, mi è sempre piaciuto. Quando avevo altri capi uomini, quasi lo facevo di proposito a fare cazzate. Per farmi riprendere. Sì, mi è piaciuto che lei mi maltrattasse pubblicamente.

“Sì, mi piace che lo fai tu”

“Questo è un ruolo che raramente i maschi accettano. Sei molto più intelligente di altri”

“A molti piace, ma non lo ammettono”

“E immagino pure cosa ti piaccia fare”

“Sono sicuro che hai indovinato”

“Da oggi sarai la mia puttanella. Lo sai vero?”

“Vedo che hai indovinato”

“Spogliati”

Si accorge subito che sotto i vestiti ho i suoi

“Lo immaginavo sai, immaginavo che ti saresti messa le mie cose”

“Non ne potevo fare a meno”

“Ma lo hai fatto senza il mio consenso”

È vero, mi dovrai punire”

“Per ora segati”

“Veramente vuoi?”

“Sbrigati”

Inizio a masturbarmi, ma non mi viene duro, devo lavorare a lungo. Lei intanto mi guarda, ma si alza, va in giro per la stanza. Mi dà attenzione ma fino ad un certo punto. È vestita come oggi in ufficio, ma si è levata le scarpe.

Perché indossa quei vestiti che la fanno così anziana? È una donna bellissima.

Finalmente sborro.

“Brava ora, pulisciti bene e metti questo”

Mi porge una gabbietta per il pene. Rosa.

“Sai come metterla?” Immagino. C’è un anello che si deve mettere dietro al pene e ai testicoli e sul quale va innestato il coperchio che poi terrà chiuso il pene.

“Così, tu sarai la padrona del mio piacere”

“Certo, potrai darti piacere solo quando vorrò io”

La innestai. Attraverso le fessure della gabbietta escono i peli pubici che con il tempo mi erano ricresciuti e che ora non mi sarei potuto levare, perché ero imprigionato ai suoi voleri.

“Chiudi e dammi la chiave”

Lo feci subito. Mi resi conto che non volevo poter ambire a qualcosa di più. Lei governava il mio piacere. Basta svegliarsi e masturbarsi, basta guardare porno in TV. Ora che lei mi governava la masturbazione avrebbe assunto un rituale che ne avrebbe aumentato il valore.

Prese la chiave e la agganciò ad un porta chiavi. Sul quale scrisse il mio nome.

“Dì, la verità, vuoi sapere se ho altre chiavi?”

“Sì”

“Non so se mi va di dirtelo, vieni”.

La seguo.

“Metti questa e, cosa eccezionale, non mi è stato facile, ho trovato queste”.

Mi porge una vestaglia di raso, con ricami, che s’intona benissimo con il suo intimo e mi porge un paio di scarpe. Da donna, con tacco.

“Ci sai andare?”

“Provo”

Infilo le scarpe.

“Ma no mia cara! Allora, devi camminare sulle punte… non con il tacco. Dai cammina ed esercitati”

Vado avanti e indietro per la stanza. È meraviglioso il mondo visto con i tacchi.

“Non devi guardare a terra… dai, un po’ di portamento diamine!”

Passiamo la serata così.

“Ora rivestiti, le scarpe e la vestaglia mettile nell’armadio e vai via”.

“Certo, lo faccio subito”

“mi piacerebbe che tu mi dia del lei.”

“Certo, lo faccio subito dottoressa”

Ero emozionato da questa situazione che aveva costruito. Lei era totalmente proprietaria delle mie eccitazioni, delle mie emozioni. Mi rivestii rapidamente, misi in ordine come aveva disposto e stavo per andare via quando mi fermò sulla porta.

“Forse, sto esagerando”

Questo cedimento, questo atto di delicato dubbio nei miei confronti mi fece esultare il cuore. Qualcosa del genere lo provavo nei primi incontri con una donna che amai alla follia.

“No dottoressa, credo di non poter ambire a qualcosa di meglio”.

 

 

Giorni dopo, la normalità.


Tutti i giovedì vado dalla Dottoressa. Lei mi ha riservato un armadio, dove posso tenere le cose per me. All’inizio mi faceva tanti regalini. Una gonna, una camicetta… intimo. Adoro l’intimo. Ora l’armadio è pieno.
Mi sistemo i capelli, mi trucco, mi metto un abito da lavoro e le pulisco casa.
Sì, le piace avermi come serva. Credo che per lei sia emozionante la mia sottomissione, come maschio, trasformato in donna, che fa i servizi di casa.
Il giovedì spesso esco prima. Lei ha visibilità sui miei riposi, sulle mie ferie; quindi, mi costringe a prendere ore di permesso per lavorare a casa sua. Se la soddisfo, mi dà la chiave della gabbietta e posso andare in bagno a segarmi. Ovviamente nel bagno di servizio.

“Sa Gina, lei è molto brava, ma voglio trovarle un aiuto” Mi chiama Gina, per lei è diminutivo di Luigina. Crede forse che sia un incremento all’umiliazione, vestirmi da donna, darmi un nome da donna e farmi fare le pulizie a casa. Ma per me è accogliermi in un mondo che ho sempre desiderato.
Ma cosa intende per cercarmi un aiuto? Un’altra umiliazione? Forse questa volta lo sarà per davvero. Forse, intende coinvolgere qualcuno nel nostro gioco?

 

 

L’aiuto


“Barzini, ho un piccolo piano da sottoporle, giovedì ne parliamo”

Giovedì è arrivato sto tornando a casa. Ho qualche dubbio che possa funzionare e anche un po’ di paura. Luisa non è che mi ha messo nella condizione di accettare o meno. Mi ha solo messo al corrente e illustrato quello che devo fare. Ma poi mi ha dato la chiave della gabbietta e sono andato al bagno e mi è passato tutto. Non ho pulito però il bagno, stavo parlando con lei. Adoro farlo al femminile.
Sedute sul divano, come due amiche mi spiegava.

 

In questi giorni mi ha detto di fare gli esercizi con il plug. La prima volta mi ha fatto male, ora piano piano, inizio a sentire che quello piccolo scivola via e quello medio lo posso tenere bene infilato senza che mi dia dolore.

Luisa non vuole partecipare, vuole solo che le mandi le foto. Poi, giovedì, mi dà la chiave e posso godere. Alle volte la gabbietta stringe e mi fa male. Non sono mai riuscito a gestire le erezioni. Ma la costrizione del non potermi masturbare, che sia lei a dire quando posso farlo, mi esalta, mi fa sentire importante e l’atto acquista poi un valore superiore.

Sono dalla Dottoressa Mischi. Ha voluto che fossi molto professionale e precisa. Vestito monastico grigio perla, collettino bianco, quasi da scolaretta. Parrucca, di media lunghezza, castana. Dietro una lunga chiusura lampo, dorata, spessa, evidente. Quando me la sono vista indosso, allo specchio, ho pensato subito che sia un invito al maschio di aprirla. Davanti il vestito è serio, dietro un invito al peccato.

“Gina, sono emozionata, tu no?” La dottoressa è in vena di confidenze.

“Dottoressa, tanto anche io”

“Ti sei preparata bene?”

“Certo, ho seguito tutte le sue indicazioni”

“Come sta lì sotto, stringe?”

“No, da un po’ di tempo quando mi preparo, non stringe più”

“Bene, stai imparando il tuo ruolo”

Mi preparo come lei mi ha detto di fare. Prima di andare a dormire, mi penetro con il plug medio, lo tengo un po’, mentre sistemo la cucina, lavo i piatti. Poi infilo quello più largo. Lo tengo il più possibile anche se mi fa male. Dopo un po’, sento che scivola via. Allora, rimetto quello medio e vado a dormire.

All’inizio questi esercizi mi provocavano un’erezione. E la costrizione della gabbietta era dolorosa. Ma recentemente, anche infilando il plug grande, non ho più erezioni. Tutto sembra delicatamente femminile e il mio inutile cazzo rimane al suo posto, imbrigliato.

Arriva Sergio.
Sergio è un amico di Luisa, l’ha conosciuto in palestra. Lui ci va spesso. Robusto, squadrato. Completamente calvo, con una barbetta molto maschile. Cinquanta anni. Più basso di me. Greve. Molto rozzo.
Entrando nel salone di Luisa rimane affascinato dall’ambiente, probabilmente ne riconosce la ricchezza economica. A riceverlo è Luisa, che io continuo a chiamare Dottoressa, dandole del lei, e io, un passo dietro di lei. Lui si accorge subito della mia presenza. Probabilmente si accorge subito della mia natura.

Ci sediamo. Luisa mi presenta “Lei è Gina. Una mia cara amica, poi mi aiuta in tutto”

“Tutto cosa?” chiede un po’ malizioso Sergio?

“Nelle faccende di casa, nella gestione del quotidiano”

Io non dico nulla, sto seduta, schiena dritta, mani in grembo, occhi bassi.

“Cara, ci servi qualcosa da bere?”

Si rivolge a me. Mi alzo, vado a prendere il carrello con i liquori.

Sergio si serve di super alcolici di vario tipo. Io e Luisa ci limitiamo a cose leggere e poi direttamente sugli analcolici.
Luisa mi fa un segno. Mi avvicino a Sergio, inizio a carezzarlo, a toccargli i muscoli, ora delle spalle, poi delle cosce. Rimango con la mia mano lungamente sulla sua coscia, gli sono seduta vicino. Lui non mi respinge, non fa nulla. Mi sento totalmente padrona della situazione. Lo tocco, cerco i punti in cui sento che reagisce maggiormente. Dai pantaloni si vede che gli piace essere al centro delle mie attenzioni. Luisa mi vede ed è contenta. Questo suo apprezzarmi mi riempie di gioia.

Divento ardimentosa. Lui resta seduto, a gambe divaricate, sul divano. Io mi giro, mi alzo. Mi scosto i capelli. È meraviglioso possedere il gesto di scostarmi i capelli. Mi avvicino a Luisa e mi giro. Lei capisce, si alza, abbassa la zip del vestito. Lentamente. Sergio si massaggia il cazzo da sopra i pantaloni.
Il vestito si apre e lo lascio scendere a terra.
Mi rivelo a lui in reggiseno rosa, mutandine sempre rosa, il reggicalze nero e le calze. Mi chino per raccogliere il vestito. Credo che il mio sedere diventi insieme alle gambe, lunghissime, irresistibile per Sergio.
Raccolgo lentamente il vestito, lo ripiego sempre in modo lentissimo. Sento il suo sguardo che assapora ogni istante dei miei movimenti. Poggio il vestito su una sedia.
“Dottoressa, procedo?” Mi rivolgo a Luisa in modo reverenziale.
“Certo Gina, faccia come sa”.
Questo teatrino stupisce Sergio, almeno mi sembra. Mi avvicino a lui, sempre seduto a gambe larghe sul divano. Mi inginocchio e gli apro la patta dei calzoni.
Esce il suo calore, il suo sentore di cazzo. Le mutande lo bloccano attraverso la patta, allora gli apro i calzoni. Ora è più libero. Accidenti, è enorme. Lo tocco delicatamente. È duro e io l’ho fatto diventare così. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. Era davanti a me, dritto, duro, caldo, e quello che prima avevo avvertito come puzza, inizia ad attirarmi, ad inebriarmi. Mi ero domandata: cosa avrei fatto?
C’è una sola cosa che posso fare, una cosa che Sergio si aspettava, che eccitava Luisa mentre mi guardava: lo baciai, lo leccai. Era buono. Mi metto bene in posizione e lo ricevo tutto in bocca. Me lo faccio arrivare fino alla gola. Lui mi poggia la mano sulla testa ed entra ancora di più. Mi sento affogare.
E non mi accorgo che le sue mani, forti, grandi, mi afferrano. Si è alzato, ma io penso solo a non staccarmi dal suo cazzo; come se fosse la fonte della mia esistenza. Si libera della mia bocca, privandomi di quella delizia, mi gira e mi trovai poggiata sul divano, con le mutandine calate. Ed il caldo che prima avevo in bocca, ora lo sento fra le natiche. Poggiato sul mio culo, è lì e sento che preme. Non ha bisogno di spingere troppo, sono già lubrificata. Sento la sua forza e io mi abbandono a quella magnifica invasione.
Cedo e in un lampo lui è dentro di me.
Non posso che mugolare di piacere. O forse è stato lui, non lo so. È dentro di me e ho perso la capacità di distinguere io e lui, siamo una cosa.
L’ingresso in me è avvenuto con dolore e ho visto Luisa esaltata quando ci unimmo. Felice di vedere come mi scopava il culo, come fossi diventato frocio per lei. Ed ero felice della sua gioia, di averla soddisfatta.
Sergio mi scopò il culo per un tempo indefinito. Credo che persi anche i sensi per qualche istante. Ma quando si liberò dentro di me della sua sborra ero cosciente e sentii nettamente come sgorgava.

“Gina! Non sei felice che sei diventata una di noi?”

“Luisa, sono felice.” Ero dolorante. Stavo sul divano leggermente piegata verso il bracciolo, una posizione che mi faceva sentire meno dolore.

“Io sono felicissima, finalmente tu non fingerai di essere donna, lo sarai veramente. Ma questa, era solo la prima parte del piano”

Per quella notte rimasi a casa di Luisa. Non ero in grado di guidare. Mi fece stare in una camera per gli ospiti, mi dette una camicia da notte rosa. Mi dette le chiave, ma non la usai per godere, solo per lavarmi bene.
La mattina lei non mi svegliò e non andammo in ufficio.
Dedicammo tutto il giorno alla mia vita al femminile. Mi dette indicazioni sul trucco, su come mettere il rossetto fu la parte più interessante. Mi domando perché questa sua apertura, questa gioia della mia trasformazione.
Il culo mi ha continuato a far male per altri due giorni.  

 

Oggi nuovo appuntamento con Sergio. Luisa lo riceve nel soggiorno. Io sono andata ad aprirgli la porta.

Nell’ingresso mi ha fermata e spinta contro il muro. Per poco non cadevo dai tacchi. I nostri visi erano vicini, ma lui non voleva baciarmi. Mi ha girata, per farmi sentire il suo membro duro. “Ti rifarò il culo anche oggi, adoro aprire i froci”
Sono stata impassibile: “Faremo quello che la Dottoressa Mischi vorrà”
“Ma io mi scopo anche lei”
“Se lei lo vorrà”

Indispettito mi libera dalla presa ed entriamo nel soggiorno.
Rivolge tutte le sue attenzioni a Luisa. Stanno sul divano, la vuole, pende dalle sue labbra, fa come se io non esistessi. Le lancio un’occhiata di intesa; si alza e si avvicina a me. Mi abbraccia, mi bacia.
Rimango congelata dal suo bacio, è la prima volta che lo fa. È anche la prima volta che mi abbraccia. La sua lingua mi invade. Si scosta, mi guarda ed è compiaciuta da quello che ha fatto.
“Sento la tua gabbietta, vuoi levarla?”
“Dottoressa, lo sa che voglio solo quello che le può fare piacere”
“Gina, la sua obbedienza verrà premiata”
Prende la chiave e me la porge.
Poi rivolta a Sergio “Ora Gina ti mostrerà cosa significa essere rispettosa e io ti mostrerò cosa si può ottenere”.

Mi levo la gabbietta. Era durissimo.
Luisa mi abbraccia, mi bacia.
“Baciamela subito”
Rimango sorpresa. Va verso il divano, la seguo, si ferma, le apro il vestito. L’aiuto a farlo scivolare. Rimane con la sola lingerie. Si siede e inizio a baciarle le cosce, separandole, procedendo spedita verso le sue mutandine.
“Dai, mettiti comoda” Mi misi in ginocchio e iniziai a godere del suo profumo, della sua umidità. La mia lingua le bagnava.
Mi ero dimenticata di Sergio. Mi sento afferrare per i fianchi. Mi alza il vestito e mi libera delle mutandine, le fa scendere fino a dover arrivano alla gamba piegata, perché sono in ginocchio davanti a Luisa. Sulla finestra dell’ano sento un caldo intenso. Eccolo, un’altra volta, che si accinge ad entrare e sono pronta a riceverlo.
È solo poggiato, mi piacerebbe che ci rimanga un po’ di più, ma lui non era in grado di capire quanto per sia bello quel momento. Lo spinse selvaggiamente dentro e contemporaneamente il mio viso viene spinto verso Luisa, fra le sue gambe.
Lui sbatteva sulle mie natiche e io venivo spinta sulla vagina di Luisa. Ero diventata uno strumento nelle mani di Sergio, anzi, del suo ventre.
Forse Sergio capisce, non gli piace, si sente inferiore, si spazientisce, è stupendo, sento la rabbia che pervade il suo bacino. Si ritrae lasciandomi una sgradevole sensazione di freddo.
“Basta, voglio scopare te, non questo frocio di merda”.
Mi scosta violentemente facendomi cadere e il suo cazzo enorme prende il posto del mio viso.
Sta per penetrare Luisa ma intervengo, gli premo sul visto l’ovatta con il cloroformio e lui cade svenuto.
“Brava Gina, ora dai, portiamolo sul letto”

Una volta sul letto lo spogliamo. La sua erezione è rimasta. Non riesco a fare a meno di guardare il suo cazzo.
“Gina, la smetti, sembra che te ne sia innamorata”
“Hai ragione Luisa, mi sorprendo anche io di come mi sia piaciuto”
Luisa mi guarda meravigliata, un po’ sorridente. Si avvicina, mi bacia intensamente “sei proprio una di noi” soddisfatta.
Il resto del piano è molto semplice. Foto con lui nudo che bacia il mio cazzo. Ritrovo facilmente l’eccitazione e in diverse foto riusciamo a far venire anche che gli sborro in faccia. Poi il suo culo. Lo penetriamo con dei plug.

“Dottoressa Minghi, Sergio si è più fatto sentire?”
Rimane un po’ interdetta, siamo al lavoro. Nel suo ufficio, le pareti sono di vetro e i colleghi non ci possono sentire.
“Barzini, Sergio è stato una vera delusione. Forse il piano non era ben congeniato”
“Non credo, tornerà. È fuggito da noi, ma non potrà fuggire da sé stesso”

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