La prima volta
La prima volta
Un aprile di diversi anni fa. Non volevo sprecare una serata in solitudine, così decisi di fare un giro. Misi un vestitino in maglina, celeste, mi sistemai i capelli, ultimo sguardo nello specchio con ritocco al trucco. Adoro il sapore del rossetto, e l'effetto del lucidalabbra è meraviglioso.
Con un tacco da 5, rapidamente raggiunsi l'ascensore. Era tardi ma qualcuno si può sempre incontrare e giù verso il garage. La notte aiuta a far diventare tutto possibile, e l'impossibile si era avverato. Un dolce vento mi passava fra i capelli, si insinuava fra le cosce protette dai collant.
I giri erano i soliti, le ragazze in attesa di clienti, alcune mi conoscevano e mi facevano un segno di saluto. Ma non mi andava di fermarmi, volevo solo vivere la notte, non ero in cerca di incontri.
Rallentai per svoltare a destra e la vidi. Giovane, una chioma di capelli, neri alle luci dei lampioni. Piccolina, coperta da un vestitino che sembrava più un grosso foulard con fantasie a fiori. In quel momento non capii cosa mi spinse a fermarmi, desiderio di un fugace incontro, paura della solitudine, ora a distanza di tempo ricordo che i capelli furono un'attrattiva enorme.
Si avvicinò, un incedere flessuoso, mi vide, lesse il contrasto delle mie forme con i tessuti, le sorrisi ma non riuscii a dire le consuete frasi. Fu lei a dire se volevamo andare. Io le dissi solo di sì. Non mi fece le solite domande; mi guardava con sguardo torbido, lussurioso. Un accenno di sorriso. Come se sapesse tutto di me. Era lei la padrona.
Mi indicò la strada per appartarci, io non avevo poi così voglia, mi bastava guardarla, sapere di lei, quanti anni avesse, da dove venisse.
22 anni, dalla Colombia, ma la sentivo che non voleva. Non permetteva che entrassi nella sua vita, come per mantenere una sorta di verginità, quando tutte le altre le erano state rubate. Non feci altre domande. Del resto, lei non ne fece a me.
Mi fermai, le detti il consueto che lei fece sparire in una borsetta microscopica che portava al collo. Si avvicinò a me. Posò la mano sulla coscia, mi alzò il vestito e iniziò a carezzarmi in mezzo alle gambe. La mia eccitazione le permise di scostare le mutandine di pizzo e seta e iniziò a succhiarmi il glande, e poi a scendere, lo scroto. Ma non era questo che volevo e lei lo capì subito. Si liberò del vestitino. Non portava mutandine, e il suo pene svettava duro e profumato. Mi guardava con sorriso sapiente. "Lo vuoi troia, è tuo". Sì ero troia e lo volevo. Lo leccai e succhiai con ardore. Lei mi spingeva la testa. Quando allentò un po' la spinta, le dissi una frase semplicissima, e io stessa ebbi a sorprendermi per averla detta "mettimelo in culo".
Lei si animò tutta, si infilò un preservativo, mi ordinò di girarmi. Io presi posizione sul sedile rovesciato. Come se lo avessi sempre fatto. Mi aiutò a sfilare le mutandine, il vestito era già sollevato. Mi carezzava con le dita fra le natiche. Sentii che metteva una crema, fredda. E tutto ebbe inizio. Non mi aspettavo che iniziasse così presto. Non feci in tempo da dirle nulla. Già mi sentivo penetrare. Un dolore lancinante, la implorai di fare piano. Per tutta risposta la sentii "puttana, sta giù, fammi godere". Obbedii, il dolore era insostenibile. La sentii spingere ulteriormente e fu tutto dentro. Iniziò il movimento ritmato, sentivo sbattere il suo ventre contro le mie gambe, le mie natiche. Improvvisamente una fitta di piacere si fece strada fra il dolore, sentii nettamente un brivido risalire la schiena e arrivare fino alla testa.
Lei continuava, poi un rallentamento, rimase per un istante immenso fissa a spingermelo dentro e sentii qualcosa di liquido che dentro di me si faceva strada.
"Puttana sei stata stupenda, t'è piaciuto". Mi sentivo il culo sconquassato e lei usciva lasciandomi vuoto. Mi ricomposi, mi rimisi le mutandine, mi sistemai il vestito e i capelli, lei mi guardava e il suo sorriso ora aveva una connotazione perfettamente chiara. "Puttana, ora riportami e fatti una sega".
Ero la puttana di una puttana, e pensai che la serata non era sprecata.
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