La pioggia

 

La pioggia  ci prende alla fermata dell’autobus.

Il caldo dei giorni scorsi è andato via, già la mattina era nuvolo, ma non si vuole mai cedere e si va sempre senza ombrelli.

La vedo sempre più bagnata. Mi vede e sorridiamo.

“No amore, non correre, fermiamoci qui”.
Ci ripariamo sotto ad una specie di portico.
Coglie l’occasione per infilarsi in un mio abbraccio. La sento calda, morbida. Adoro le sue forme.

“No, non posso salire, ti bagno tutta casa”. Siamo arrivati a casa sua.
“Ma dai, non puoi mica andare in giro così”
Nel suo bagno mi spoglio completamente. L’acquazzone ci ha bagnato tutto. Lei entra, è completamente nuda anche lei.
È attratta dal mi corpo.
Sono attratto dal suo.
Fare l’amore con lei è una sensazione unica. È come ascoltare una canzone, come se la componessimo insieme, con un unico verso che si ripete all’infinito, sono felice. Solo con lei ho provato la sensazione di totale estasi, di perdere completamente la propria dimensione, i miei confini.
Sotto il lenzuolo che ci copre inizio a sentire un po’ di freddo, mi stringo di più a lei che mi sembra si sia addormentata.


“Ho un po’ di fame, vieni?”
“ti dirò, ho un po’ di freddo, mi prendo una coperta”
“Aspetta, che ti do una vestaglia”.
Dall’armadio prendere un kimono rosso, che si allaccia in vita con una cinta. Ha del pizzo nero ai bordi. Un po’ lezioso, delicata sulla pelle, la metto e mi capita la stessa cosa che mi capitò, molti anni prima, in altri contesti.
“Ma lì in basso, mi sembra che si sia svegliato qualcuno” Lei mi guarda e mi sorride. Apre la vestaglia. Sì, sono eccitato.
“Non mi hai mai detto nulla, di questo effetto!” Le piace giocare, l’adoro quando lo fa, quando stempera una situazione che in quel momento trovo imbarazzante.
Ma non sono una bomba del sesso, non sono dotato, non ricarico velocemente.
Lo prende in bocca. Non credo di poter venire ancora. Forse sì, qualche goccia.
“Lo sai cosa accade ora vero?”
“No, ma inizio ad avere un po’ di paura”
“E fai bene, perché i tuoi vestiti sono bagnati, li ho stesi ma… credo che dovrai stare qui tutta la notte fino a domani”
“Ancora non vedo di cosa avere paura”.
“Ora sei completamente alla mia mercé”
“E ancora non mi viene paura, dovrei?”
“Secondo me sì”. “Vieni allora che voglio giocare, visto che all’amichetto piace.”
È bellissima e completamente nuda, il suo sorriso mi ammalia.

Mi leva il kimono. Vedo che apre un suo cassetto e fruga. Tira fuori un paio di mutandine e un reggiseno, molto carini. Neri, lisci, inserti di pizzo.
“E che ci dovrei fare io?”
“Mettili”.
Il rapporto sessuale prima e il pompino dopo mi impediscono un’ulteriore erezione, ma qualcosa sento smuoversi.
Ma è il suo tono a farmi entrare in un’altra dimensione. Obbedisco, spinto dal desiderio innato di essere accettato, in questo caso essere accettato da lei. Era lei che comandava.
Infilo le mutandine e il reggiseno. Lei mi aiuta a chiuderlo. Imbottisce le coppe con del cotone.
“Dai, ti stanno veramente bene.” “Ma ti va? Se non ti va smettiamo…” No, non deve avere esitazioni, deve mantenere la parte di lei che mi ordina.
“Certo, mi va tantissimo, solo che sono un po’ scarico ora”.
“Ma non importa, allora continuiamo.
Ha capito che può tranquillamente usare le sue cose, che abbiamo taglie compatibili. Mi fa infilare un vestito. Per lei era un vestito lungo, per me è un abito corto.
“Ma lo sai che stai veramente bene?”
“Ma quanto sei scema.”
“Sì, però non va bene come tieni le gambe. Allora: ginocchia unite e piedi paralleli. Da ora in poi sempre! Ricorda che in mezzo non hai un battacchio da tirare fuori non appena ti si offre la possibilità. Da ora hai qualcosa che devi celare, devi proteggere, da tutti, perché è una fonte di vita”.
Unisco le ginocchia. Le gambe, sotto al vestito, assumono posizioni femminili.
“Bene, vai benissimo, perché se no, sembravi uno scaricatore di porto ad un raduno di checche, invece, così, sempre una dolce donzella, tutta da baciare” Modula la voce mentre dice ‘baciare’ facendola morbida, sinuosa, e si avvicina, baciandomi.
Il suo ardore è totale. Non so come restituirle tanta passione. La faccio distendere a letto e inizio a baciarle l’ombelico, il pube. Sento il suo clitoride che è delicatamente duro. Inizio a leccarla con metodo. Lei mi poggia le mani sulla testa e me la preme a sé. Sono completamente immerso fra le sue gambe. Lei ha un ventre tondo, caldo, morbido e le gambe mi avvolgono. Mi sento quasi svenire, forse mi manca l’aria. Emergo ma lei mi rispinge a sé. Devo respirare. E mi allontano un po’. “Puttana leccamela!” Sembra quasi che non sia la sua voce; ma è lei. Che forza ha nelle braccia, nelle gambe. Sì, devo ubbidire, devo farla felice.

Alzare le braccia per pizzicarle i capezzoli mi aiuta a uscire dall’apnea a cui sono costretto del suo corpo. Posso respirare, leccarla e pizzicarla.
Sento che le gambe si stringono, se io fossi stato lì in mezzo mi avrebbe stritolato. Urla come ha mai fatto. Mi trovo completamente bagnato in viso, sul corpo, il vestito è sporco.
“Maledetta mi hai fatto godere come nessuno prima”. Mi copre di baci

Mi levo il suo vestito. “Dove lo poggio questo?”
“Ma, perché, non vuoi continuare?”
“Sì, pensavo che lo volessi lavare”. Me lo prende e lo porta al bagno, la seguo con gli occhi. Non posso fare a meno di guardarla, è bellissima.
“Lo sai, c’è qualcosa che non va… il reggiseno, le mutandine… però una rasata non ci starebbe male.”
Mi passa il chimono. “Dai, andiamo che voglio giocare con te”
io sono completamente affascinato dal suo seno che sobbalza da ogni suo movimento. Dal suo generoso addome che mi fa desiderare solo di tornare lì sotto per ricominciare a gustarla.
Mi rado con le lamette che usa lei.
Mi mette la crema, ma non vedo cosa fa. Rimane a confabulare davanti a me. Provo a darle un bacio su un capezzolo, ma mi ferma in modo anche molto rude. Poi mi pettina mi sistema.
Quando mi posso guardare allo specchio vedo chiaramente i tratti di mia mamma a cui assomiglio molto. Rivedo lei in me. Su di me. Nel mio viso. Sono felice.
Mi giro verso di lei. “Sei stata bravissima”
“Dai, è solo un po’ di fondotinta, rossetto… i capelli dovresti lasciarli crescere”.

 Mi sistemo le coppe del reggiseno, faccio in modo che ci siano meno spigoli provocati da imbottiture improvvisate. Intanto lei si è messa un reggiseno e delle mutandine. La osservo mentre indossa la camicetta e la gonna. Poi inizia a pettinarsi

“Sei bellissima lo sai?”

“E ora abbiamo scoperto che anche tu sei bellissima… e ora usciamo”

“Ma i miei vestiti sono ancora bagnati…”

“Stai benissimo così, non credi?”

“Ma come faccio, se mi vede qualcuno?”

“Io spero che ti vedano in tanti e si innamorino della mia fidanzata, ma lei è solo mia”.

“E le scarpe?”

“Dai, metti le tue, sono snickers che portano anche le donne, sotto questo vestito ci stanno bene. Certo, ti do dei calzettini più carini, con un po’ di pizzo… ti piace il pizzo?”

“Lo adoro”

“anche io, e su di te sta benissimo”.

Le scarpe sono ancora maledettamente umide, quando eravamo arrivati a casa le avevo strizzate. Ma non m’interessa, le metto anche se sono bagnate. Voglio fare quello che mi dice lei, voglio soddisfare ogni sua richiesta, voglio che lei sia contenta di me.

Usciamo, l’aria è decisamente fresca, le strade sono ancora bagnate. Mi ha dato un maglioncino, lei ha messo una giacchetta.
“E’ una follia totale, ma sono felice di farla con te”. Le dico.
“Beh, anche per me è una cosa folle… ti va di bere qualcosa?”
Andare in un locale, farmi vedere. Sì, con lei sì!
“Però ti devo dare un nome”, mi dice. “Magari in pubblico può essere utile”.
“E poi magari mi battezzi?” Ridiamo.
“Certo Carla, ora lo faccio subito”. Prese una foglia di un’edera, bagnata. Me la mise in fronte
“In nome della madre e della figlia ti battezzo Carla”.
Questa versione femminile blasfema del battesimo mi sconvolge. Era vero, non poteva essere diversamente. Dio è donna. In quel momento mi fu totalmente chiaro.

Mi sento leggera, come se mi fossi levata un peso immenso dalle spalle, come se non dovessi più recitare una parte, la libertà di non dover sempre essere all’altezza. Carla, mi piaceva un sacco quel nome.
“Vieni Carla, entriamo qui”. Era uno dei tanti pub della zona. All’ingresso il classico crocchio di fumatori, sotto l’insegna un cartello dove si invitava a non far rumore in rispetto del vicinato. Ma io volevo urlare a tutti che ero felice. E la totale felicità me la dava lei, che era soddisfatta della sua creazione.

Ci mettiamo ad un tavolino, praticamente visibile da tutto il locale. Portare un vestito mi spinge subito a stare seduta con le ginocchia unite, ma anche a sedermi evitando di allargarle troppo. Lei lo nota. “Sei bravissima”.
La ragazza viene a prendere l’ordinazione, io ho avuto paura di parlare e Lisa non è venuta in mio soccorso. Chiedo una birra media, chiara.
“Sei stata bravissima”.
“Sono felice che io ti piaccia”.
“Dì, la verità, non è la prima volta vero?”.
“In pubblico sì”.
“E perché non me l’hai mai detto?”
“Perché avevo paura di perderti”.
“Sai, una donna capisce, credo, se davanti ha un maschio … maschio, oppure un maschio anche un po’ donna”.
Rimasi colpito da questa cosa. Quindi si vedeva ed era inutile nasconderlo.
“Ma dici perché ho…, sì, insomma, non sono molto dotato?”
“No, la lunghezza del pene non c’entra nulla. Non so da cosa una se ne accorge. Da come ti muovi, da quello che dici, da quello che fai… i maschi maschi sì, sono comunque un bene dell’umanità, come le donne belle belle, ma non so spiegarti: ecco, non ci vivrei”.
“Per me tu sei bella bella, non ho mai neanche sperato di stare con una donna come te”.
“Vedi, tu mi hai detto una cosa fantastica, un maschio maschio non l’avrebbe mai detta, un po’ perché non la pensa, e un po’ perché non crede che sia necessario. Invece è stupendo e per questo io ho scelto te”
“Ma, ora, non ti sembro ridicolo? Sai, le vedo le persone che fanno finta di non guardarmi, sento il peso dei loro occhi, del loro giudizio”
“Questo ti pesa? Per me sei bellissima, forse perché ti ho truccata io”. Ridiamo.
“Sì, mi pesa. Mi pesa sapere che mi considerano solo un maschio che si è vestito così perché gli piace il cazzo. Mi pesa essere ricondotto ad un minimo fattore comune di mediocre ricerca di sesso.”
“Però lo sai che quello che gli altri dicono o pensano di te non lo puoi controllare. Lo puoi in qualche modo prevedere, immaginare, ma non sarà mai sotto il tuo controllo. Del resto, io non ne sono immune. Se mi metto un vestito un po’ attillato penso che mi giudicheranno per la mia ciccia, se metto una mini, mi diranno così vestita sembro ancora più bassa, per non parlare degli stivali. Anche se dovessi trovarne che non mi stringono la gamba, se li mettessi direbbero che sono una prostituta.”, “ecco se ora dici che sono bellissima mi farebbe stare molto meglio”.
“Aspettavo che finissi per dirtelo, ora vorrei fare una cosa…” Mi avvicino a lei e la bacio, delicatamente, sulle labbra. Lei accetta il bacio e inizia a gustarmi.
Si avvicina un cameriere.
“Ragazze, questo ve lo offro io, se lo accettate mi fa piacere”
Lisa subito si stacca “dai, grazie, e come mai ce lo offri?”
“Vedete, sono il titolare del locale, e voglio dirvi che siete le benvenute sempre”.
Accettammo.
“Vedi Carla, c’è un vantaggio ad essere speciali. Magari lui ha voluto farci una cortesia, magari è per attirare l’attenzione, per richiamare clienti. Lo sai che nei locali le donne entrano gratis… perché sarà maschilismo, però ai maschi non piace andare in un locale dove trovano solo uomini.”
Ridiamo, è vera questa cosa.

Usciamo a passeggiare. Sento fresco alle gambe, il vestito mi sta corto, ma mi piacciono le mie gambe, anche se sono un po’ storte. Cerco di camminare poggiando la punta prima del tacco, senza allargare troppo i piedi.
“Dai, allora come hai iniziato?”.
Divento una valanga di parole. Erano decenni che non aspettavo altro se non parlare di quello che facevo. Avevo iniziato con le cose di mia madre. Come ho invidiato i miei amici che avevano sorelle più grandi. Collant, reggiseno, gonne… tutto quello che potevo mettere senza che si notasse che l’avessi fatto, lo mettevo. E poi il richiamo della masturbazione. Mi eccitavo, ero alle prime esperienze con il mio corpo. Ogni volta che anche solo pensavo di mettere qualcosa mi eccitavo.
“Avevamo iniziato un discorso nel pub” mi guarda con aria interrogativa. Mi avvicino e ricomincio a baciarla. Lei mi asseconda, mi invita, mi assaggia, mi penetra con la sua lingua. Sento che ritorno duro, e mi vergogno. Da sotto il vestito si vede e poi le sto sporcando le mutandine.
“Mi dispiace, ti sto rovinando mutandine e vestito”.
“Ma si lavano, non temere… è solo per questo che ti dispiace?”
No, non è solo per questo. È he non vorrei fare quello che tutti i maschi fanno. Non vorrei scoparla e poi abbandonarla a sé stessa. Vorrei fare l’amore con lei, tenendola unita a me per sempre.
Siamo arrivate a casa sua.
Saliamo. Io le alzo il vestito, le faccio scivolare via le mutandine e inizio a baciarla. Le cosce calde mi fanno sentire bene. Il suo profumo è una specie di paradiso.
Lei si sposta e mi alza il vestito. Ha una forza che non credevo.
Come immaginavo le ho sporcato le mutandine. È su di me, sono dentro di lei.
Le piace. Sono felice.
Quando provo piacere lei non è soddisfatta. “Piccola puttanella, voglio godere anche io”
Apre un cassetto e ci sono un sacco di oggetti che comprendo poco, vista la poca luce.
“Usalo stronza, su di me subito; hai goduto ora voglio godere anche io”. Si getta al letto allarga le cosce. Inizio a baciarla. “No stronza, scopami con quello che ti ho dato”
È brusca, rude.
“Lubrificalo dai, che voglio godere!”
Metto del gel che trovo nel cassetto e inizio a penetrarla. Si contorce, la vibrazione ha uno stimolo che non conoscevo. “Dai stronza, prendi quell’altro e mentre uno sta dentro usalo sul clito”
“Ma ti posso leccare”,
“Non sono il tuo lecca lecca, usa il vibro!”
Diventa docile, tranquilla. Io lavoro con i due vibro. La sento urlare. “No, ti prego” implora “non ti fermare”. Non è un problema, finché dura la batteria.
“Grazie Carla, sei fantastica, ora leccamela”.
Non le basta mai, sono felice che mi vuole, sono felice che si conceda a me.
Rimaniamo sul letto completamente esauste. Abbracciate. La sento che si è addormentata, mi addormento anche io.

“Sai Carla, i vestiti sono asciutti, ma che ne dici di rimanere qui da me per tutto il week end?”
“Mi sembra un’idea fantastica, dovrei comprare delle scarpe”.
“Sì, ma prendile basse, che già sei altissima”
Ci eravamo addormentate vestite, inizia a spogliarmi.
“Allora questo mettiamo tutto a lavare. La prossima volta ti faccio usare il mio proteggi-slip.”
“Dai, magari anche un assorbente”
“E’ una tortura, voi maschietti non sapete cosa significa”.
“Mi dispiace che sia così fastidioso”.
“Ora proviamo a fare un gioco”. Lei, sempre nuda, con il seno che si muoveva in modo morbido, andò al suo cassetto e prese qualcosa di piccolo e lungo e il flacone di gel.
“Girati.” Il tono era imperioso.
“Ma che vuoi fare”.
“zitta frocetta, girati e allarga le gambe”.
Obbedii in silenzio. Mi piaceva obbedire, mi piaceva che mi comandasse. Sentii che mi ungeva l’ano e iniziò ad infilare il plug affusolato. Sentii un po’ di dolore, ma non tanto.
“Ora tienilo, non lo fare scivolare via”
La sensazione era bellissima. Lo sentivo dentro, camminavo a gambe unite per paura che scivolasse via. Ma non scivolava, mi piaceva camminare così.
Si avvicinò a me, il suo corpo si spalmo contro il mio, e iniziò a massaggiare il mio piccolo organo erettile.
“Che ne dici se questo un giorno lo tagliamo via. Così diventi la mia fidanzata lesbica?”
Facemmo l’amore, lei mi sussurrava nelle orecchie ‘scopami come se questa fosse l’ultima volta che lo tieni fra le gambe’ e mi accorsi in quel momento che lo volevo solo in funzione di quello che lei ne avrebbe fatto.

Completamente sfinita sto riversa sul letto. Lei, sempre nuda, sempre bellissima si alza. “Forse possiamo cambiare il plug”. Ne prende uno di misura più grande lo unge bene, poi mi sfila quello che avevo ancora dentro e inizia a spingere l’altro. Mi fa un po’ male, ma è completamente insensibile ai miei lamenti.
Ora lo tengo dentro. Mi sento soddisfatta che sia entrato. In passato avevo provato, ma mi ero sempre fermata a piccole carote.

“Metti queste, ma al contrario”. Mi porge un perizoma. Mi stringe. La vedo che delicatamente armeggia sui miei testicoli, me li spinge dentro e finché ci c’è il perizoma non si vedono. Il pene rimane stretto dal tessuto. Dietro il plug è tenuto in posizione.
“Come te lo senti”
“Benissimo”.
“Così, potrai mettere dei pantaloncini, o una gonna senza che si veda il bozzetto. Andiamo a fare compre?”

Io ho sempre le scarpe, bagnate.
“Vorrei vederti in gonna, ma con quelle scarpe ci sta malissimo, anche il vestito è stato un azzardo”. Mi passa dei fuseaux che arrivano a metà polpaccio. Poi una maglietta che mi calza bene e mi mette in mostra.
“Lisa, dove andiamo?”
“Un centro commerciale, ho in mente che ci servono un po’ di cosette.”
Mi rifà il trucco. “Cara, devi però imparare a fartelo da sola”.
Con i calzoni e quella maglietta sembro un po’ un gay effeminato. Ma non m’interessa, sto con lei, lei è contenta, posso affrontare il mondo e sembrare un gay non è certo un problema.



Torniamo a casa piene di pacchi e pacchetti. Soprattutto le scarpe! Non avrei mai creduto che mi potessero piacere così tanto.
“Carla, dai, sei bellissima, ora usciamo”.
Ero felicissima, saremmo andate in qualche locale, magari ci avrebbero offerto da bere, come ieri.
Lei era bellissima, aveva un tubino nero, e scarpe molto alte.
Io avevo un suo abito, blu scuro, molto aperto dietro. Quando abbiamo preso le scarpe, abbiamo deciso di non prenderle troppo alte, se no lei sarebbe sfigurata.
Andiamo in un locale e ci accomodiamo. Ci portano da bere. Poi non ricordo più nulla.
Mi risveglio a casa.
Mi fa tantissimo male l’ano, le gambe sono indolenzite.
“Carla sta ferma e non ti muovere”
Mi accorgo che perdo sangue dall’ano, ho sporcato le lenzuola.
“Ma cos’è successo?”
“E’ la droga dello stupro. Quella merda te l’ha messa nello spitz”.
“Ma come, dobbiamo andare alla polizia” Una fitta di dolore mi fa ricadere sul letto.
“Guarda, non è grave, ti ha solo scopato il culo un po’ rudemente, ma ti passerà”.
“Ma come…”
“Sta zitta e giù. Ragioni come un maschio, se andassimo alla polizia diventeresti solo un articolo di giornale, e a lui non farebbero nulla. Ma veramente non ricordi nulla?”.
Mi metto a piangere. Per il dolore e l’umiliazione.
“La prossima volta farai più attenzione. Certo, era un bell’uomo, era facile cascarci”.
“Non ricordo nulla, era molto dotato?”
“Certo, non aveva un pistolino come il tuo.
“Dai, non ti mortificare, io voglio te, e se tu avessi un cazzo enorme, non potresti mettere questi vestitini”.

Voglio solo lei, non mi serviva altro per essere felice.

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