È enorme.
Mi stringe a sé, sento che mi spinge da dietro. Il mio vestitino a fiori è alzato, le mutandine scese e lo sento fra le natiche. Caldo, duro.
Quando è entrato nella sala del locale notturno, quando ha
salutato i miei amici, quando ci hanno presentati ho subito pensato che da lui
l’avrei voluto. Lo sentivo parlare, tranquillo, informato, disinvolto. Pendevo
dalle sue labbra.
Lui sa tutto di me; è ovvio. È impossibile che non si accorga
di come mi piaccia. Questo lo ha reso sicuro di sé dal primo momento, e poi mi
ha chiesto se mi poteva accompagnare a casa. Ho accettato la sua sicurezza, mi
è piaciuto lasciarlo condurre il gioco. È raro che capiti, non mi piacciono i
ragazzi che danno per scontato di potermi avere, di essere superiori.
Pensavo solo “voglio essere tua”, forse l’ho detto, forse mi
legge il pensiero. E voglio che sia mio. Lo voglio in me, lo voglio caldo,
duro. Ed è entrato. Fitta iniziale che mi fa piegare avanti, e spingo per farlo
entrare meglio, per governare un po’ la spinta. Ma le sue mani che mi cercano.
Si china su di me. Le sento che mi frugano da sotto il vestito. Governa lui,
per il suo piacere. E io voglio che lui lo provi, voglio essere il suo
sollazzo.
“Scopami”
Quasi mi meraviglio di averlo detto. Non che necessiti di un
invito. Ha iniziato. Ed è meraviglioso sentirlo che si muove dentro di me.
Sentire che i nostri corpi si fondono. Capire di non avere più nessun
controllo, che sono completamente in suo potere. Sentirlo che, ormai
completamente inebetita dal piacere, governi ogni mia pulsione.
Mi posiziona una sua mano enorme davanti, fra le gambe.
Sento la mano perfettamente aderente al mio pube. Il mio pene è totalmente inesistente,
sento che me lo spinge dentro con due dita. Rimango stupefatta di come sia
semplice farlo. Sembra quasi che abbia una vagina per lui, che la esplori con
le sue dita enormi. Carezzando internamente il mio piccolo glande, umido.
Sì, lui lo può fare. Lui può assumere quella posizione di
capo, padrone, maschio dominante. E io per lui sono semplicemente uno
schiavetto sessuale, a sua disposizione quando vuole glorificare il mio culo
con il suo desiderio.
2
Lui vuole che io metta il reggiseno, che lo imbottisca,
anche leggermente, dice, perché gli piaccio con un po’ di seno. Sento le sue
mani sulle coppe, mani forti, e quello è il momento in cui vorrei avere un
seno, delle rotondità morbide che possa toccare. Mi piacciono le sue mani su di
me e quando stringe le imbottiture non le sento. Mi stringe, mi fa sentire
piccola, priva di ogni controllo. E mentre mi stringe sono unita a lui, mi sta
dentro. Lo voglio. Voglio il suo calore, voglio la sua forza che mi stringe. Mi
lascio andare al piacere di essere unita a lui.
Ad un certo punto mi sussurra: “apri la bocca, fallo godere”.
Mi accorgo che non siamo soli. Mi
irrigidisco. Davanti a me, un ragazzo, esile, completamente nudo, che
volgarmente tiene il suo cazzo in mano a pochi centimetri da me, dal mio viso.
“Apri la bocca, piccola troia, fallo godere”. E mentre me lo dice, mi incalza
più forte, con violenza, come per sottolineare la sua forza, il suo comando.
Apro la bocca e lo ricevo. Faccio di tutto per farlo godere, per farlo
irrigidire. Lo bacio, lo succhio, gli lecco le palle. Tutto vano.
“Non ce la faccio, la tua troia non è capace”. Dice il
ragazzo
“Vuoi prenderla da dietro?”
“Mi fa schifo”.
In tono deluso gli intima: “Torna in camera tua”
“Non mi puoi trattare così”. Gli dico, ma mi accorgo che la
mia voce è una specie di rantolo. È uscito dal mio culo, mi ha lasciata con la
voglia, un’immensa voglia delle sue mani, del suo calore, del suo cazzo.
“E perché non posso, tu sei una troia e ti faccio inculare
da chi voglio”
Penso ‘sì, ma basta che poi posso essere tua, ti prego,
fammi godere’
Ma non è più dell’umore. Come tutto diventa vuoto e privo di
senso senza la follia del sesso.
“Puttana, vattene, la prossima volta, imbottisci di più il
seno”
Ci sarà una prossima volta! Sì, non m’importa che mi tratta
come una puttana, sono felice perché ci sarà una prossima volta.
3
Mi sono messa delle protesi che mi fanno una quarta. Ho dovuto comprare un
altro reggiseno. Sempre più spesso esco al femminile. Mi sento nata, come se mi
fossi liberata di un enorme peso.
È bellissimo comprare vestiti, stupire commesse, ricevere il loro appoggio, il
loro aiuto, o la loro riprovazione.
Suono alla porta, ho il cuore impazzito. Che delusione,
ancora lui. Il ragazzo dell’altra volta. Ma lui, c’è?
“E’ mio padre”
“Dov’è, avevamo appuntamento” Sono nervosa, non mi va di
stare con lui, soprattutto non mi va che siamo soli.
“Ha detto che sarebbe tornato presto, è andato via”.
Non so cosa fare, rimanere, aspettare, inseguire la speranza
che torni, oppure andare via e perderla totalmente?
Mi comporto da fifona, mi attacco all’ultima speranza
perdendo così anche l’ultima traccia di amor proprio, di rispetto per me
stessa.
Lui si è seduto sul divano, io su una sedia del salotto.
Compita, con le ginocchia unite. Sotto il vestito leggero si vedono i segni dei
reggicalze.
“Senti, mi dispiace per l’altro ieri. Ero imbarazzata”
“Anche io lo ero, non sei la prima con cui mio padre … .
Come farebbe con un cane.”
“E’ il suo modo per …”.
“per mettermi in imbarazzo, per dimostrare di essere
migliore di me”
“Forse per spronarti, perché ti vorrebbe come lui”.
Mentre parliamo sento il suo sguardo su di me. È una
sensazione che ho da quando mi vesto da donna, in pubblico, gli uomini spesso
sono più che curiosi. Sento come se mi spogliassero, uno ad uno mi levassero
gli indumenti e rimanessi nuda in mezzo a loro, vogliosi, eccitati, pronti a
sfogare su di me e con me le loro voglie. Lui lo stesso. Ma questa situazione
non mi umilia, mi esalta. Per loro sono interessante, divento importante. Mi
piace suscitare queste emozioni in loro.
“Ma forse, ti piacerebbe dare tanti bacini a questo?”
Mi sono avvicinata, ho alzato la gonna, il reggicalze aiuta
molto, perché basta spostare un po’ le mutandine e gli ho porto il mio pene. Mi
depilo, completamente.
Lui non indietreggia, è seduto sul divano e mi guarda.
“Dai, è pulito, è dolce”
Ed ecco la magia, si avvicina e inizia a odorarmi, inizia a
leccarmi il cazzo che è eretto. Gli metto una mano sulla testa e glielo faccio
scivolare in gola. Sento che fa resistenza, non spingo. Si alza, si leva i
pantaloni della tuta, si abbassa le mutande e penso ‘non lo prenderò mai da uno
come lui’, ma si china e mi porge il culo.
“mi sa che non sono la prima”
“Scopami”
Non avrei mai immaginato di scoparmi il figlio del mio uomo.
Alzo la gonna, porto il mio cazzo fra le sue natiche, le tiene divaricate con
le mani. Il suo buco è nero, invitante, caldo. Entro senza difficoltà e
riabbasso la gonna su di noi, quasi a coprire pudicamente il punto della nostra
unione. Senza foga, senza violenza, sono dentro di lui. Lo sento mugolare, lo
sento in estasi. A me non dice nulla quella sodomia. Lo insemino con le mie
poche goccioline e immagino che lui provi quello che provo io quando poi il
rapporto finisce: freddo, abbandono, tristezza. Mi siedo vicino a lui e lo
abbraccio. Lui si poggia sul mio seno.
“Ma tuo padre lo sa?”
“No”
“Ciascuno di noi ha una maledizione. E già, è proprio una
maledizione. Tu hai quella di essere gay e avere un padre che ti vuole super
maschio, proprio come lui”
“Ma tu, che ci trovi in mio padre?”
“Non so dirti, è un maschio puro, semplice, animale, un
maschio di altri tempi, il vero stereotipo.”
“E non ti fa incazzare questa cosa, che ti tratta da
puttana”.
“Mi eccita, mi fa sentire… non so dirti, non so perché da
lui certi atteggiamenti li accetto mentre da altri no. Forse mi fa sentire donna,
forse mi piace solo come mi scopa, ma mi è piaciuto da subito”.
“Ti butterà come uno straccio vecchio, come ha fatto con le
altre… quando vi ho visti mi sono incazzato. Mi ha dato fastidio. Non sopporto
di come lui possa essere così egoista, così disinteressato per quello che gli
altri possono provare.”
“Se ti può tranquillizzare, per me è solo sesso. Quando sarà
finita, amen e arrivederci”
“Immagino, ma queste cose fanno male anche a lui. Spesso lo
vedo da solo e mi pesa che sia triste, che non riesca a costruirsi un affetto”
“Si vede che gli vuoi bene”
“No, lo odio”
“Perché va con altre?”
“No”
“Perché… va con altri?”
Riprende a piangere.
“Ma la tua maledizione, non è solo essere gay, vero? È che sei
geloso di me. Lo sai, che nel resto della tua vita, cercherai uomini che lo
sostituiscano, che ti facciano quello che tu vorresti ti facesse lui?”
Mi guarda sprezzante: “vado già da uno psicologo”.
Scappa, chissà se riuscirà a correre più di sé stesso.
4
Mi ero prontamente allontanata. Ho chiesto di essere al buio,
quando si è fatto buio, ho prontamente lasciato il posto.
Ora sono nascosta quasi dentro l’armadio. Li sento, sento
l’inconfondibile suono della passione, lo schioccare delle cosce sulle natiche,
dell’ansimare di lui, ardente di passione, lo immagino mentre afferra la sua
concubina per il seno. Lo sento che scivola dentro e ogni volta che ripete
l’azione i gemiti di piacere di chi lo riceve. La loro unione doppiamente
contro natura è stata opera di una mia creazione. Se deve vivere con quella
maledizione, almeno per una volta è giusto che provi queste emozioni, la gioia
di ricevere le attenzioni tanto desiderate del padre, di essere parte del suo
piacere.
Abbiamo preparato tutto, gli avrei chiesto di preferire il
letto e della luce spenta. E mentre lui era distratto, il figlio avrebbe preso
il mio posto.
Il rapporto incestuoso e contro natura è stato consumato.
Ora il padre, sazio del suo godimento, si ricompone per tornare in soggiorno.
Io, esco dal mio nascondiglio.
“Come stai?”
Non parla
“Dimmi qualcosa, come stai?”
“Va da lui, tutto bene”. La sua voce mi rassicura. Sarà un segreto. Per almeno
una volta è riuscito a soddisfare il padre, ad avere tutta per lui la sua
attenzione, il suo amore. Per una volta quello che ha fatto non sarà giudicato,
controllato paragonato. Povero ragazzo, che tristezza mi mette il suo segreto,
tristezza causata da una insensata voglia di essere importante per uno che non
merita. Gli vorrei dire le parole di una canzone che forse lui non ha mai
sentito:
“… il padre è solo un uomo
E gli uomini son tanti scegli il migliore
seguilo e impara
…”
Quello che a lui è capitato non è il migliore, dovrà
cercarsene un altro per salvarsi.
Torno nel soggiorno. Lui si sta versando da bere e sta
fumando. Odio il fumo, odio la puzza di alcool.
“Sei stata bravissima, complimenti; più delle altre volte”
“Tu sei eccezionale, come sempre”
“Comunque, io a voi froci non vi capisco. Nascete con il
cazzo ma non vi piace la passerina. Vi piace il cazzo. Siete strani”
“È vero, siamo strani”.
Entra il figlio. Fa finta di essersi svegliato da poco
“I giovani d’oggi, sempre a dormire, poltrire, ravanare su
quei telefoni…” accoglie così il figlio. “… perché non ti fai una bella
trombata? Guarda, c’è lei, puoi farle quello che vuoi”.
Sì, sono strana, ma ora questo suo atteggiarsi a mio padrone
mi crea uno stato claustrofobico.
Mi avvicino al figlio.
“Caro, potresti provare con me cose che non hai mai provato
con nessuno prima” e dicendolo gli carezzo il viso, poi faccio scendere la mano
lungo il collo, per finire sul petto e gli sorrido, lui piega la testa per
avvicinarla alla mia mano, per ricevere la carezza.
“Cara, ne dubito”. Mi sorride, mi mordo un po’ il labbro.
“Dai, fammi assaggiare il tuo pistolone” Mi piace fare la
sfrontata.
“Allora, papà, te la rubo un attimo”
“Ehy, attenzione! Dietro, che davanti non è disponibile “, E
ride come un idiota.
Andiamo nella sua camera. Una cameretta, da liceale che
crescendo non ha pensato più a modificarla. Libri ammassati, un letto disfatto,
un armadio.
“Ora tuo padre penserà che chissà che mi farai”
“Lo detesto. Alle volte gli vorrei urlare tutto il mio
sdegno, tutta la rabbia che mi fa, ma a te piace però! Ma come fai?”
“A dire il vero non lo so. Sai, in genere i maschi mi danno
fastidio. In genere sono tronfi della loro virilità, si lavano poco. Non
sopporto quell’aria da gran uomo che si danno dopo aver scopato, quel
comportamento da vincente. Ma forse è una cosa ancestrale, chi comanda scopa
gli altri. Chi incula è il più forte e pertanto gode, mentre chi è sottomesso
lo prende.
“Ma con tuo padre è diverso. Sì, mi fa sentire inferiore, ma mi sento anche
donna.
“No, non è il cazzo, non so cosa sia, ma probabilmente non dipende da lui,
quanto da me.
“È qualcosa che va oltre al razionale, vivo questa situazione.
“Si, ricevere il cazzo mi fa piacere, ma quello che i maschi non capiscono è
che non lo prenderei dal primo che passa. Ma loro non capiscono, sono sempre
pronti a tirarlo fuori.”
“Forse il tuo è anche orgoglio maschile? Il non voler essere
dominata, intendo”
“Può essere”
“Sai, fra i miei amici non è così”
“Voi lo fate fra voi?”
“Certo”
“Beh, se non la vivete nella stessa maniera, sono contenta
per voi, significa che è un problema mio”.
“Forse generazionale?”
“Non so”
“E perché con mio padre sì?”
“Come volevo dirti, da lui accetto di essere sottomessa, non
so, forse perché mi piace come uomo, come maschio dominante”.
“Magari ti sei innamorata?”
“Ma che dici, so che quello che c’è fra noi è solo sesso, e
arriverà il momento in cui uno di noi dirà ‘tanti saluti’ e finisce lì. Non so
usare altre parole per spiegarti: mi piace che sia lui a comandare, mi piace
che lui sia il capo. Forse ci sono i leader naturali, giusto? E per me lui lo è”.
“E ti basta?”
Gli sorrido, il suo romanticismo è tenero. “Certo che mi
basta, mica me lo voglio sposare” rido, ma da sola, lui no.
“E stai cambiando sesso, giusto?”
“Quella è una storia lunga. Ma forse di là tuo padre ci
aspetta, vuole sapere come sei andato” Non mi va di continuare.
“Già, lui ha l’ansia per la mia prestazione”
Ridiamo, è un ragazzo simpatico.
“Perché non ci andiamo a prendere un aperitivo uno di questi
giorni?”
“Sei proprio antica, un ‘aperitivo’. Perché no, certo”
“Antica, potrei essere tua madre” Quando lo dico mi crolla
il mondo addosso. Mi siedo sul letto, non riesco a trattenermi dal pianto.
“Cos’hai, non capisco”.
Non ho parole per spiegargli, non riesco. Mi raggomitolo sul
mio inutile ventre.
Questa volta è lui che mi abbraccia. Il suo abbraccio mi fa
star bene. Profuma di giovane.
“Lo voglio fare ancora, mi aiuterai?”
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