Lo sapevi quando hai scommesso

 

“Lo sapevi quando hai scommesso, quindi…”

Mario mi ricordava i termini della mia scommessa, la penale se avessi perso.

“Mario, è folle questa cosa!” Io che cercavo di eludere la punizione.

“Non direi, guarda, le ragazze hanno già portato un sacco di cose e stanno allestendo il camerino”.

Ragazze, sì, certo una volta lo sono state. Ma in questa combriccola di 40-50 enni, ci chiamiamo tutti ragazzi e ragazze. L’ipocrisia di non accettare l’età che passa.

“E quindi ora dovrei diventare donna?”

“Certo!” Mario ride. “e cerca pure di essere credibile che poi avrai un voto”.

“Questa cosa del voto non la sapevo”

“Infatti, l’ho messa io, dopo. Non voglio vedere un mascherone carnevalesco che va in giro con barba baffi e due palloni da basket per tette.”

“Quindi devo pure essere carina!”, poi abbassando la voce: “ma carina come Lucia”, Lucia è una cara amica, ma la natura non è stata buona con lei.

“Forse è meglio barba baffi e palloni” ridiamo “per quanto, ti posso dire che qualcuno che l’apprezzi c’è”

“Non voglio sapere nulla, io non mi vesto da donna”

“Forse non hai capito che tu dovrai essere donna, non ti dovrai solo vestire”

“Ma non dire stronzate.”

“Allora, ci saranno due squadre di ragazze. Non puoi capire come si sono divertite quando ho proposto loro questa cosa.”

“Immagino che sia divertentissima”

“Una squadra vestirà te, l’altra vestirà Silvia”

“E quindi? Vincerà la squadra di Silvia”

Silvia è una donna bellissima, dolce, ironica, di una simpatia unica. Credo che ci abbiano provato tutti con lei, ma lei non ha mai accettato le attenzioni di nessuno.

“Ma non è detto mica, tu sarai vestita e pure lei, dovrete cantare, esibirvi e la migliore vincerà”

“Che gara idiota”

“Beh, non sai chi sarà la giuria”

“Chi sarà la giuria?” Rassegnato

“Saranno i ragazzi, mascherati, sì, non potranno vedere”

“Questa cosa la potevi inventare solo tu”.

“Grazie, lo so”

Entra Lina: “Allora, quando cominciamo?”

“Dai Lina, ma davvero questa cosa?” Cerco almeno una complice in Lina

Mi portano nella stanza vicina. Trovo Marcella e Michela che hanno sistemato uno specchio con delle luci.

“Metti questi”. Mi passa dei pantaloncini molto attillati “Mica vorrai che le tue grazie sventolino mentre ti trucchiamo! Va e cambiati”

Mi allontano, mi levo tutto. I pantaloncini mi stanno stretti e svolgono il loro compito di contenere.

Quando esco mi metto seduto e le sento cominciare. Armeggiano. Sento profumi, mi dicono di muovere la bocca, di assumere espressioni e sento che mi dipingono il viso, come se fossero pittrici.

“Ok, alzati”

Mi alzo e mi giro verso lo specchio, sembro un pagliaccio

“Ma no… la parrucca! Senza sei vestita a metà”

In che senso, sono vestitA a metà?

Mi danno un reggiseno che infilo e Marcella me lo chiude, Lina me lo imbottisce. Parlottano “no, non è troppo grande, vedi è giusto per la larghezza del torace” “A me continua a sembrare grande” “secondo me sei invidiosa” “secondo me sei stronza”
“Lina, ma dai, queste cose così da patriarcato!” È Marcella che contesta l’idea di Lina di farmi mettere reggicalze e calze. 
“Sarà anche da patriarcato” risponde Lina, “ma i collant della sua taglia non li ho trovati, invece calze e reggicalze si adattano.”
“Hai ragione” Conviene Marcella “E poi, magari, ci fanno vincere” Ridono. ‘Che stronze’, penso, ma forse hanno ragione.

Poi mi passa una camicetta ed una gonna “Già, l’abbottonatura al contrario, tutto ti dobbiamo dire!”

Le scarpe hanno un tacco minimo, ma fanno male.

Marcella mi infila la parrucca e Michela inizia a pettinarmi. Mi guardo allo specchio. Piantato a gambe larghe, un po’ curvo mi faccio impressione. Istintivamente drizzo la schiena, accosto le gambe, unisco le mani. Continuo ad essere impressionato, ma questa volta perché mi piaccio.

Ovviamente Mario aveva organizzato una specie di spettacolo dove lui era il conduttore. Gli è sempre piaciuto essere al centro dell’attenzione.

Venimmo presentate. Silvia è bellissima. Abbiamo la stessa età, ma anche se sembra che abbia qualche anno di più di me, ha una figura delicata, bella, serena. Insomma, è  affascinante.

“E come ti devo chiamare?” Silvia mi chiede.

Interviene Mario.

“Ma come, lei è Paoletta” Già, da Paolo.

“Paoletta, sei veramente una donna molto bella, non sarà facile vincere”

“Silvia, tu sei una donna bellissima, hai già vinto” Silvia arrossisce.

Mario inizia la presentazione

“Allora, abbiamo Paoletta e Silvia e, qui, la giuria qualificata: Teo e Marcello che da questo momento saranno bendati”.

Vennero bendati e il gioco consisteva in varie prove. Cose sceme ovviamente. Ricordo che Mario aveva lavorato come animatore e questi giochi lo riportavano alla sua giovinezza.

Comunque, vinse Silvia. A dire il vero io non mi ero impegnata molto e anche bendati il premio andò giustamente a lei. Ma la serata non era finita.

Mi sarei potuto cambiare, ma stavo al tavolino delle ragazze e c’era anche Silvia. Ad un certo punto, le altre vanno via.

“Grazie Paoletta, chiaramente mi hai fatto vincere”

“Ma scherzi? Sei bellissima, avresti vinto anche se fossi stata donna”.

“E’ da tanto che nessuno mi dice che sono bella. Mi sembrava un gioco stupido, Mario lo conosciamo, è fermo ai giochi da animatore. Ma ricevere questo consenso, mi ha fatto bene”

“Silvia, io non te l’ho mai detto prima. Siamo amici, sai, sembra uno di quei complimenti che si dicono anche un po’ per posa. Ma ti ho sempre trovata bella.”

Silvia ride. Rimango un po’ perplesso.

“Scusa, ma ricevere un complimento da una ragazzona… non mi è mai capitato”

“Dai, balliamo, ti va?”

Mi fissa negli occhi, sorride, si morde leggermente il labbro, come per superare un dubbio, come per prendere una decisione importante.

Stavo per precederla di mezzo passo verso la pista da ballo improvvisata, ma mi ricordo che ero in gonna, calze, camicetta… e allora l'ho aspettata, arrivando insieme. Mario, vedendoci arrivare ha subito fatto mettere un lento.

Ballare abbracciata a Silvia è bellissimo. È profumata; sì, anche io, ma il suo era un profumo migliore. I nostri vestiti si toccavano, si sfioravano, fanno un fruscio che si sente nonostante la musica.

Ovviamente le battute ci sono tutte “ma chi sta portando?” “ehy, ma chi fa l’uomo?” Io mi guardavo con Silvia, vicinissima al mio viso, e ridevamo. Anzi, più facevano battute più ci avviciniamo.

Il suo sorriso era bellissimo, ed era mio. Non so quanto lei lo facesse per far ridere, per muovere a invidia gli altri, ma non m’importava, era fra le mie braccia e io fra le sue, loro no.

Mario però non poteva lasciarsi scappare un’occasione così ghiotta: “Ragazzi, siamo di fronte ad un miracolo, godiamocelo con questa musica e lasciamoci andare ad un sogno ...”

“Che noia, alla volte è proprio pesante” Silvia mi dice, leggera, leggiadra.

“E’ fatto così, lo conosciamo”

“Ti va di uscire in veranda?”

Ci prendiamo sottobraccio e usciamo. L’aria è fresca e Silvia si stringe a me, in cerca di una protezione, in cerca di un po’ di calore. Calore che ricevo pure io.

“Silvia, vorrei che questo momento durasse in eterno”

“Originalità zero.” Ridiamo “ma anche io, sì, pensavo allo stesso”.
Sì, non è una frase originale, ma stare bene quando si tiene una donna fra le braccia, non è originale. Lo può essere a 20 anni, ma quante donne ho tenuto fra le braccia pensando la stessa cosa? Lei, quanti uomini?

“Mi accompagni a casa?”

“Fuggiamo o salutiamo tutti?”

“Dai, sì! Fuggiamo! Anche questo non è originale, ma l’idea di salutare tutti mi fa piegare le gambe”.

“Mi devo cambiare’”

“No!” che espressione strana, non vuole che mi cambi.

“Ma le mie cose le devo prendere”

“Vado da Marcella”

Rimango in veranda. Faccio qualche passo. La notte inizia ad essere decisamente fredda. La gonna protegge più di quanto immaginassi, la camicetta per niente, per questo usano i maglioncini.

Ero assorta in questi pensieri quando arrivò Mario

“Dai, allora ti sei divertito?”

“Hai ragione, è stato divertente.”

In quel momento arriva Silvia con una busta da supermercato

“Non ti dispiacerà se riaccompagno Silvia, vero?”

“Che stronzi che siete! Ci volete mollare così, su due piedi?”

“Certo, in una nuvola di mistero” Dice Silvia.

Da dentro la busta prendo le chiavi dell’auto e andiamo. Guidare con i tacchi non è poi così difficile. “Perché non sono neanche due centimetri” mi fa notare Silvia.

“Mi dici tu la strada?”

Mi dà le indicazioni, ma per lo più stiamo in silenzio.

“Ma, tu ora torni così a casa?” Mi guarda Silvia, io mi sento molto a mio agio, l’emozione di essere stato con lei mi ha fatto dimenticare tutto.

“Forse è meglio che mi cambio, mi fai salire un attimo?”

Casa di Silvia è un macello totale. Sembra che sia stata presa, rivoltata sottosopra diverse volte.

“Dai, vatti a cambiare in camera mia; lo vuoi un caffè?”

“Sì, grazie, vado.” Lei sembra un po’ melanconica.

La sua camera è come il resto della casa. Vestiti ovunque, tranne che nell’armadio.

Mi levo la camicetta, e lascio scivolare la gonna. Mi guardo allo specchio. Parrucca, trucco, reggiseno, reggicalze e calze, pantaloncini e scarpe col tacco. Mi piaccio. Ma non capisco cosa mi piaccia in me.

No, non sto a gambe larghe, piazzate, come fanno i maschi. Piedi paralleli, ginocchia unite. Mi copro con il braccio il seno, con la mano il pube. È una posizione stupenda.

Entra Silvia.

“E’ la prima volta?”

“Sì”

“Sei molto bella, lo sai?”

“Non me l’hanno mai detto”

“Immagino perché non hai mai provato prima”.

“Silvia, perché, non capisco perché”

“Cosa Paoletta?”

“Perché i maschi non sanno che possono essere così belle?”

“Non lo so”

Si avvicina. Mi bacia.

Le nostre bocche si uniscono. Era da tanto che non bacio con la stessa intensità. A ripensarci è il lato più brutto dell’aver superato i 30 anni: si bacia solo per un preludio al sesso, senza dare spessore all’atto in sé del bacio. 
Ma se assaggiare, assaporare, sentire la sua bocca è meraviglioso, è anche bello averla fra le mie braccia, è bello sentire il suo calore, sentire le sue forme che si stampano sulle mie.

Le apro il vestito. Lasciamo che cada a terra. La sottoveste amplifica e armonizza le sue forme di donna. Ne sono attratto. Sento il suo seno, sotto al mio, a quello posticcio. Mi cela la vista, mi domando se una donna lo troverebbe normale. Silvia ci poggia il suo visto sopra.

“Silvia, non riesco a fermarmi” Sento che sono eccitato, i pantaloncini che mi avevano fatto mettere mi stanno facendo male.

“Paoletta, no andare via, rimani con me”.

Forse capisco.

Ci mettiamo sul suo divano. Rimaniamo abbracciate. Lei continua nel bacio. Il fatto che sia interminabile mi gratifica. Credo di scivolare in un’altra dimensione. I pantaloncini non mi stringono più.

Silvia si alza la sottoveste. Ha una guaina contenitiva. È meravigliosa, mi ricorda le cose che le donne portavano una volta. L’aiuto a levarla. Una robusta chiusura lampo, che faccio scendere, dei gancetti che apro uno ad uno… Lei mi fa notare che le calze sono rette dalla guaina. Le libero, Sfilo la guaina. Il suo ventre è affascinante. Ora sono palesi le imperfezioni dell’età, dalle quali tutte rifuggono. Le bacio una ad una. Lei mi porta la testa all’incrocio delle sue gambe. Il suo profumo mi attira, mi seduce. Lecco e bacio la sua umidità in profondo. Sono in ginocchio davanti a lei, rimasta seduta sul divano, a gambe larghe, io immersa nel suo ventre.
La sento gemere. Sento che ogni mia azione corrisponde un suo irrigidimento delle gambe attorno e me. Quando mi libera dal suo laccio fatto con le gambe, siamo spossate entrambi. Torno a sedermi vicino a lei e ci assopiamo.

“Paoletta, di ieri sera ho ricordi fortissimi, nitidi, di alcuni momenti. Di altri non ricordo nulla”
“Silvia, non so cosa ricordi, ma è stata una notte incantevole.” Indosso ancora il reggiseno, le imbottiture, il reggicalze, le calze e i pantaloncini
“Non mi hai scopata vero?” Il suo tono era duro. Mi sento un po’ in difficoltà.
“Ti ho baciata ovunque”.
“Sì, intendo con il cazzo”
“Silvia, non capisco, forse non hai piacere ad avermi qui, mi sarei dovuto cambiare e andare via, scusami, ma questo tono non lo capisco” porto ancora i pantaloncini, mi accorgo che sono mutande contenitive da donna. Si vede dal tessuto, dalle cuciture e da un ricamo appena accennato.
“No, non lo puoi capire, nessun maschio lo capisce”
“Silvia, no, non ti ho scopata con il cazzo.” Volevo usare le sue parole. “Ma qualcosa abbiamo fatto”
“Sì, è la parte che ricordo meglio. Sei stata fantastica”
Forse ho capito qualcosa.
“Silvia, mi cambio e vado via; lo so, non avrei dovuto, ed è colpa mia, ero più sobrio fra i due”
“Smettila”
“Le lascio a te queste?” mi riferisco ai vestiti che mi avevano dato le sue amiche.
“Così è chiaro che hai passato la notte qui? Non credo proprio, ridalle tu”
Sono mortificato. Svuotato, sconvolto. Mi sento proiettato nella dimensione ‘maschio che non tiene al suo posto il cazzo e pensa solo a scopare’. Quella sera, però, sono stato bene con Silvia, sono stato bene senza scoparla, solo stando insieme a lei. 

 

 

Iniziava a farle male la schiena. Era un po' che succedeva, forse l'età, ne avrebbe parlato con il dottore, anche era buono solo a fare ricette per il mal di gola.
Sì, Silvia si costruì un buon proposito: fare una visita completa, magari in una di quelle cliniche, dove entri la mattina, esci nel pomeriggio e il giorno dopo ti mandano tutto a casa.
Intanto sdraiata sul tavolo immenso della sala riunione, teneva dentro di sé il capo che ansimando come un bue andava avanti e indietro.
Non era la prima volta, non era il primo capo con il quale aveva rapporti. Anzi, questo almeno era un bell'uomo.
Divagava con il pensiero e l’aria fresca della sala riunioni non le dispiaceva.
Se non fosse stato per il mal di schiena che le gambe alzate le avevano scatenato si sarebbe goduta il momento: aria fresca e non dover lavorare.
Si ricordò di emettere qualche gemito. Si disse "Certo se lo faccio sincrono con i suoi movimenti, quando mi sbatte contro sarò più credibile." Si concentrò giusto il tempo per andare a ritmo. Ma le venne in mente “ah, ecco, da quello viene il termine ‘sbattere’. Da quando l’uomo sbatte contro la donna durante la copula. Io ti sbatto, tu mi sbatti, egli ti sbattono, loro …” il suo pensiero fu interrotto dalla schiena che le lanciava delle fitte.
Valutò la possibilità di parlare. Dirgli le solite cose: "amore" "tesoro", parole dolci, oppure cose più dure "toro, stallone, bestia inarrestabile". Scartò l’idea di "sono la tua troia, fammi godere".  Ma trovò tutto ridicolo: le frasi, lei che stava lì, il capo che la scopava. L’unica cosa che era vera rimaneva il mal di schiena.
Fu distratta da una crepa nel contro soffitto. Avrebbe dovuto chiamare il manutentore, prima che qualche alto papavero se ne fosse accorto; più sono poveracci dentro, più sono dei rompipalle.
Il tempo veramente non sembrava passare mai. Il mal di schiena sempre più forte... pensò ora mi giro, ma tanto ora viene e smetterà.
Però passava il tempo.
Indecisione: aspettare che sborrasse o girarsi sperando in un sollievo per il mal di schiena?
Le gambe all'aria, i piedi avevano ancora le scarpe. Si ricordava quando le aveva comprate. Ovviamente una svendita, bellissime e anche comode. Silvia si compiacque, perché aveva belle gambe, belle scarpe.
Un urlo belluino la fece capire che aveva finito. Pensò di allinearsi, con qualche gridolino, qualche gemito. Lui si ritrasse. Sudatissimo, lei si portò le mani all'inguine, stringendo le gambe fingendo un piacere.
Lui si allontanò, lasciandola sul tavolo. La guardò. Si sentì che tutto sommato ancora reggeva il confronto con i trentenni. Lui, 50 anni, aveva la fama di gran donnaiolo, di non lasciarsene scappare una. Certo, di Silvia dicevano che anche lei non si fosse lasciata scappare un capo, ma a lui era piaciuta l'idea di averla. Era una bella donna.
Silvia si alzò a fatica. La schiena, ora, le faceva decisamente male. "Silvia, sono stato troppo irruente? Spero di no". ‘Ma guarda’, pensò lei, ‘un uomo che si accorge che qualcosa. Irruente? con i tuoi 13 cm di ciccetta che potevano smosciarsi da un momento all'altro? Allora di cazzi non ne sai proprio nulla.’
"Caro, no, è stato bellissimo." Agli uomini piace sempre e non occorre entrare in particolari. "E che già da prima mi faceva male un po' la schiena".
"Se me lo dicevi, potevamo fare un'altra volta".
"Ma non volevo rimandare".
Lei lo baciò con passione. Sentì l'agro sapore dello sforzo che lui aveva fatto, mischiato al tabacco. Vabbè, rassegnata, non poteva sperare più in un ventenne.
Mentre si rivestiva pensò quanto tempo sarebbe passato prima degli altri step. Lui che cerca di sdebitarsi, magari una cena, una vacanza. Oppure un benefit aziendale: trombare in conto spese, già, perché lui le regalava cose dell’azienda.
E si domandò se tutto questo fosse giusto.

Si è fatto tardi. L’incontro con il capo non l’ha sollevata da una serie di piccoli lavori che le toccavano. Anche quello di aprire una scheda alla manutenzione. Esce che è sera fatta. Tanto nessuna l’aspetta a casa. Divorziata, una figlia, che ha deciso di stare con il padre. “Che stronza”, pensa alla figlia. Il fatto che abbia scelto lui l’ha moralmente distrutta. Pensa ad altro.
Sale sulla sua utilitaria. Deve fare benzina, deve fare la revisione, deve controllare le luci che ha uno stop bruciato… sta diventando tutto sempre più difficile.
Avrebbe anche dovuto incontrare Paolo. Aveva lasciato il reggiseno. Glielo restituiva, così poteva ridarlo alle ragazze.

Nei giorni scorsi aveva ripensato spesso a quella notte con Paolo. Ripensò ai suoi baci, a quanto fu tenero. Che la stessa tenerezza, la stessa dolcezza, l’aveva solo provata con un’altra donna. Già, in ufficio se si fosse saputo le avrebbe fatto guadagnare mille punti nella scala di appetibilità: una donna fa venire voglie, una lesbica suscita ancestrali fantasie che tutti i maschi hanno. Nessun maschio pensa ‘è lesbica quindi non le posso interessare’, ma ‘è lesbica allora lo posso fare con due donne’.
Con Paolo ha passato una bella notte. Era tanto che non la passava con qualcuno. Tanti uomini, tutti però durante l’orario di ufficio.

“Ciao Silvia”
“Ciao Paolo, ma hai una faccia, dai, ancora per l’altra sera?” Gli porge una bustina di carta, con dentro il reggiseno.
“Lascia stare, mi dispiace di questa rottura, sì…”
“Intendi, il dover restituire il tuo reggiseno?” Sottolineando ‘tuo’, alzando un po’ la voce e sorridendo
“Ti diverte? Guarda che non me ne importa nulla.  A tutti voi piace il clown che si veste da donna. A me non fa né caldo né freddo.”
“Dai, era per ridere.”
“Ma sì, il vecchio comico che non sa più come far ridere si veste da donna”
“Che stronzata”
“Poi me lo racconti se non è così”
“Senti ti va di bere qualcosa, dai, facciamo come nei telefilm americani che dopo il lavoro vanno tutti a prendere qualcosa da bere”
“Va bene, ma offri tu”
“Certo Paoletta, sarai mia ospite”

 

Si sentiva come quella volta che in un tuffo, le onde la spinsero in profondità e lei rimase sommersa. Senza andare su, né giù, trasportata, avvolta protetta. Uno strano momento di totale benessere.
Stava provando quella stessa sensazione di benessere, di smaterializzazione, di fluttuare. Fu un attimo e rientrò totalmente nella realtà. La camera in disordine, il letto disfatto dopo una notte di lussuria. Il suo corpo avvinghiato ad un altro, la presenza turgida dentro la sua vagina. Delle mani che la toccavano ovunque, che la carezzavano, che le davano il perimetro del suo seno, dei suoi fianchi del suo corpo. Le piaceva essere rientrata nel suo corpo, lo amava profondamente.
Tornata razionale, caustica, dura, sprezzante come sempre però disse “Tu sei speciale. Non so come fai, ma lo fai super bene”.
“Vorresti dire che ti è piaciuto?”
“Immensamente”
“cosa è successo alla Silvia-Stronza che conosco?”
“Smettila, cogli l’occasione di apprezzare la Silvia felice; ho fame”
“Vorresti dire che io non ti basto?” Ridono
Silvia rimasta distesa dopo la copula, ammirava il suo corpo atletico, alto; cosce muscolose che facevano da torri a delle natiche sode e al pene che le aveva dato tanta gioia. Le dispiaceva vederla ritirarsi. Nella penombra della stanza non si notava la carnagione olivastra, ma si potevano vedere benissimo i muscoli definiti, i fianchi ampi i seni posticci, fatti crescere con ormoni e silicone.
“Un giorno voglio rifarmi anche io il seno come il tuo”.
“Amore, il tuo è bellissimo”
Chissà a quanti avrà detto ‘Amore’, lei Sharon, una bellissima trans argentina.
La guardò mentre si rimetteva il reggiseno.
“È bello, quello delle altre. Alle volte lo trovo così ingombrante e a che serve? Ho avuto solo una figlia che ne ha usufruito, poi è servito solo ad attirare maschi”
“Ma che pensieri che fai, e allora, io, con il mio cazzo? Quante volte lo vorrei tagliare, ma sai che non posso. Alla fine, serve mi solo per pisciare in piedi e per lavorare.”
“E mi dici nulla? Oggi come oggi sai quanti vorrebbero un cazzo come il tuo?”
“Sì, averlo in tanti sensi dici”.
Ridono ancora. Sharon fa la prostituta. Abita sullo stesso suo pianerottolo. Ci sono prostitute e prostitute.
“Ma tu, un uomo, non lo vorresti in casa?”
“Ti stavo per chiedere la stessa cosa”
Ridono ancora.
Sharon risponde interrompendo l’ilarità e diventando cupa: “Gli uomini per me sono stati sempre delle delusioni. Alla fine, mi sono rassegnata, forse l’amore per me c’è in questo mondo, ma io ancora non l’ho trovato”.
“E per me è lo stesso, un marito, una figlia, l’amante di mio marito ed è finito tutto. Ora mi scopo i capi, del resto, sono una rizza cazzi. Mi vogliono così, mi vedono così, come potrei essere diversamente?”
“Silvia, lo sai che da me non avrai né assoluzioni né condanne. Siamo come siamo. Ti scopi il capo? Lo fanno in milioni, le mogli non sanno nulla, ma non è escluso che ricambino. Noi siamo donne libere, e questa è una cosa stupenda.”
“Sì, alle volte vorrei esserlo meno, questa libertà mi crea un peso”
Si abbracciano.
“l’altra sera è successo qualcosa”
“Cosa brutta o cosa bella?”
“Non lo so ancora”
“Quindi una cosa bella, dai racconta” Si accese una sigaretta.
“È venuto un uomo, siamo stati tutta la notte insieme.”
“Ti ha scopata?”
“No”
“Ma siete stati bene insieme”
“No, non mi ha scopata come tu potresti pensare”
“Sai, non è che conosco tanti modi per scopare”
“Eppure, ti credevo un’esperta”
Ridono
“Sono esperta di tante cose, ma di maschi che ti fanno sentire bene, senza scoparti, no. Quindi: racconta, mi piacciono le storie romantiche”
“Eravamo dopo una festa, un po’ brilla, ma neanche tanto. Sai, lui era vestito da donna”
“Dai, allora era bella come me?”
“Bella, sì, ma tu sei donna” Sharon la guarda e le sorride. “e poi siamo state a casa mia, e siamo state insieme, e lei mi ha fatto sentire bene. Accidenti come mi ha fatto sentire bene. Sono stata proprio bene”
“Come ti fanno sentire i tuoi amanti?”
“No, figurati”
“Allora, come ti faccio sentire io”
“E’ diverso”
“Che tradotto dal ‘femminese’ sta per ‘non mi ha scopata, ma sono stata benissimo lo stesso’, vediamo se indovino: ti ha fatto sentire come se fossi con una donna”
Non era così difficile da indovinare. Non era difficile per Sharon, ma lo era per Silvia.
“Sì, maledizione, proprio così. Non so, è come quando ti risvegli che hai fatto un bel sogno. Essere felici sanza sapere il motivo. Vedi tutto rosa, cuoricini e stronzate così.”
“Perché non lo chiami? Ma non più tardi o domani ma ora. Diglielo ‘bello mio, mi hai fatto sentire bene, e voglio incontrarti ancora, metti reggiseno e mutandine e fatti bella perché mi devi mandare in orbita come l’altro giorno’. Anzi: ‘voglio risvegliarmi come se avessi fatto un bel songo’. Digli così”
Silvia si morse il labro, già, perché non lo faceva, perché Sharon vedeva tutto chiaramente e lei no?
“Silvia, prendi il telefono, chiamala, ora” L’accento ispanico era diventato ancora più deciso.

Paolo vede il telefono squillare, è il numero di Silvia. È tardi, che vorrà a quest’ora.
“Pronto”
“Paoletta, vediamoci, ora, subito, il prima possibile, voglio risvegliarmi come mi hai fatta svegliare l’altro giorno. Felice, non so cos’hai fatto, ma lo devi fare ancora”
“Ma, non ho nulla, il reggiseno te l’ho restituito”
“Per ora vieni, poi vedremo”.

 

Mi piace.
È tutto folle ma mi piace.
Mi piace andare da lei, l’idea di andare da lei, di uscire di casa e sapere che mi aspetta. Spesso, quando siamo lontani, mi viene un senso di disperazione: di sprecare del tempo che potrei passare con lei.
Alle volte mi sveglio, che sono eccitato, che ce l’ho duro. Mi masturbo e sono felice perché penso a lei. Ho capito che lei non vuole che io la penetri e masturbarmi prima di incontrarla mi aiuta quando poi mi cambio, per non avere risvegli. Sì, il mio cazzo rimane piccolo e moscio. Lei mi ha procurato una pancera contenitiva. È molto aderente, per sfilarla dovrei aprire una chiusura lampo ed una fila di gancetti. Ma anche senza, non avrei erezioni. Però metto sempre un proteggi-slip, perché qualche goccia esce sempre.
In un suo cassetto ho le mie cose. Poi mi trucca. Più tempo passiamo insieme, come amiche, più lei gode quando la succhio in mezzo alle gambe.
Anche come maschio non mi sono mai avventato su una donna.
Ricordo lo sconforto di una ragazza con cui ero fidanzato quando, distesi vicini, in una camera d’albergo, mi stavo per addormentare. Lei disse, urlando: “non ha senso tutto questo!”. Poi facemmo l’amore. Lei con un pigiamone non era il massimo della seduzione, ma io non mi tirai indietro. Nel momento della penetrazione, lei si ritrasse scappando al bagno. Non la capii mai. Io ero impreparato e lei pure.  Non capii se fosse la prima volta, se era normale che sanguinasse… non lo so. So solo che se prima non mi ero mai avventato su una donna, dopo quel momento fui ancora più in difficoltà nei rapporti.
E Silvia si è accorta di questo. Vedendomi al femminile, forse, trova normale dirmi cose del tipo “dai zoccola, fammi godere” o più dolci “dai, fai quello che sai”. Io, con delicatezza, come farebbe una donna, come hanno fatto centinaia di prostitute a me, mi piego e la faccio godere.

Sto andando da lei. Eccitatissimo. Mi sono masturbato due volte. Così scarico, sicuramente le piacerò di più.
Silvia è sempre carinissima. Mi abbraccia teneramente. Poi mi sussurra “Dai, non perdere tempo, voglio Paoletta”. Dopo l’intimo, il reggiseno, mi metto camicetta e gonna. Quando mi ha dato quei vestiti mi ha detto che tutto sommato non è stato difficile trovare le taglie. Le calze si agganciano direttamente alla guaina che mi fa mettere. Quando finisco di vestirmi, arriva lei e mi trucca.
“Sei splendida”

Passiamo tanto tempo in soggiorno. Stando sul divano vediamo Uomini e Donne. Da quando lo vedo con lei mi piace. Mi piace seguire le storie di queste persone, un po’ su con l’età, esibizionisti, con velleità giovanili. Sono spesso comportamenti adolescenziali, ma mi piacciono. Mi piace parlarne con Silvia. Prendere in giro i maschi vanitosi, le donne super truccate.

Ma oggi capita qualcosa: suonano al citofono.

Mi sento sprofondare. Chi è? Mi devo nascondere!

“Tranquilla Paoletta, è un mio amico. Spero che ti piaccia la sorpresa. “. Mi guarda sorridente. Non riesco a dirle di no.
Sì, sono anche curiosa di come potrebbe vedermi un suo amico.
“Ma il tuo amico, cosa sa” non c’è tempo per una risposta. Entra.

Un uomo, maturo, brizzolato, porta dei fiori.
Posso fare due cose: fuggire in camera e chiudermi a chiave, oppure tenere il gioco.
Silvia mi guarda, mi prendere per mano. È bellissima, ha un’espressione un po’ da bambina, deliziosa.
Rimango. Tengo il gioco.
I fiori che porta sono rose rosse. Mi colpisce il loro profumo. Eppure, non è la prima volta che vedo delle rose. Ma quel mazzo, con tre rose, è per me. L’altro è per Silvia.

Antonio è un uomo molto cordiale. Chiacchiera affabilmente, ci presentiamo. Silvia si allontana per prendere un vaso, dicendomi di fare gli onori di casa. Gli apro il mobile bar. Ma sono un po’ impacciata e ci pensa Antonio. Mi versa un po’ di liquore. Un liquore intenso, dolce, al cioccolato.
Beviamo, discorriamo del più e del meno.
Mi sono calata benissimo nella parte.
Mi meraviglio come mi sia venuto naturale.
No, non è una parte. Sento che è qualcosa di più.
Antonio mi parla al femminile, io mi rivolgo a me al femminile e lo sento giusto.
Non è una recita.
Rientra Silvia, ha messo le rose in due portavasi e li sistema sul mobile del soggiorno.
“Antonio, accomodati”. Silvia gli mostra una poltrona. Mentre mi sto avvicinando al divano, sento che parte la musica. È stata Silvia.  Si avvicina, mi prende per le mani, se le porta alla vita e balliamo. Come la prima volta, il suo seno caldo sotto al mio. La tengo vicina a me mentre il lento va avanti. Mi perdo nell’abbraccio con Silvia, ma non so Antonio che cerca. Non mi sento di chiedere a Silvia, non ho trovato il modo di chiederlo a lui.
Le nostre serate scorrevano guardando la TV, prima e dopo le mie attenzioni per lei, attenzioni che potevano avere più fasi, più riprese.
Ora con Antonio non so cosa potrà succedere. Lei sente il mio nervosismo. Mi sussurra “Sta tranquilla, è un amico”.

Antonio rimase seduto sulla poltrona, a guardare mentre ballavamo, mentre ci baciavamo, mentre lei mi liberò della guaina, facendo scendere le calze, che levò rimettendomi poi le scarpe; rimase sempre seduto osservando.
Ma mentre iniziai a dedicarmi all’intimità di Silvia, percepii che si era alzato, che mi carezzava la schiena, proprio come si farebbe ad un cane, anzi: ad una pecora. Mi fu chiaro.
Perché non dissi nulla?
Perché non mi alzai?
Perché non andai via?
Lo so perfettamente: volevo che lui lo facesse.
E lo fece. Mi alzò il vestito e mentre io avevo il visto sul pube di Silvia, sentii che fra le mie natiche si poggiò qualcosa caldo come il fuoco. Sentii che si posizionò sul mio ano. Sentii che spingeva delicatamente.
E pensavo solo ‘sì, continua, non ti fermare’
E non si fermò. Mi violò con cura, con calma. Con forza entrò in me. E lo sentii che non si fermò se non quando le sue gambe sbatterono contro le mie. Più volte. Volli urlare, ma la mia bocca era premuta sulla vagina di Silvia. Non potei urlare il dolore, ma neanche il piace di riceverlo.
Ad un tratto sentii del liquido dentro di me e si ritirò.
Sicuramente mi sono accasciata a terra. Tutto da quel momento in poi è divenuto confuso.
Mi ritrovai seduta sul divano. Tirai su le gambe, quasi a voler assumere una posizione fetale. Sentivo dolore.
Silvia era vicina a me, mi appoggiai al suo seno.
“Tesoro, ti ha fatto male?”
“Sì”
“Mi dispiace”
non volevo però che si sentisse in colpa “Però mi è piaciuto”
Mi guarda e ci baciamo. 
“Ora sei proprio una femmina, come me”.

Forse Silvia mi voleva femmina, e solo come tale accettava le mie attenzioni, forse lo voleva fare per una sorta di ritorsione sui maschi. Non lo so. So solo che stiamo progettando di vivere insieme. Antonio è tornato spesso, ma non di rado usciamo, andiamo nei locali, rimorchiamo qualche maschio che poi scopa sempre me.
Sono felice. Mi sembra di essere tornata ad un mondo dal quale ero stata allontanata a forza.

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