Giovanna, Letizia

 

Ho cominciato a travestirmi da donna usando i vestiti di mia madre. La scena potrebbe sembrare squallida: un ragazzotto pienotto (non sono mai stato una silfide), con indosso reggiseno e mutandine, sottovesti e collant.

Ma per me sono stati momenti bellissimi, e ne ho anche un ricordo meraviglioso.

Scoprire come si aggancia un reggiseno, come si infila un collant. Le prime prove di trucco… sono state esperienze stupende.

Ho cominciato a 15 anni a travestirmi completamente.

Non vedevo l’ora di poter rimanere solo a casa per iniziare a cambiarmi. Sapevo perfettamente dove trovare tutto. In un cassetto trovavo un bustino nero, non aveva ganci, si doveva infilare e ogni volta mi contorcevo. Era stupendo perché migliorava notevolmente la mia silhouette. Poi mi piaceva imbottirmi il seno. Ad un certo punto non l’ho potuto più mettere, ero ingrassato troppo.

Sottoveste nera, camicetta blu di seta, e gonna nera. Peccato che mia madre non portasse autoreggenti! Problema: le scarpe.

Poi ho cominciato a comprarmi da solo delle cose. Un babydoll nero, con culotte. Trovavo dolcissime le carezze che facevano alla mia pelle. Ovviamente mi masturbavo sempre; più volte.

Potevo ovviamente continuare così per chissà quanto tempo, ma qualcosa cambiò.

Anche quando andavo a casa di amici, mi appartavo nel bagno e frugavo negli armadietti, nelle ceste della biancheria sporca.

Più di uno ovviamente potrà storcere la bocca; sì un paio di mutandine possono essere sporche di cose da far torcere lo stomaco, ma in genere le ragazze si cambiano tutti i giorni.

Qualche volta trovavo solo cose da vecchiette, ma altre volte invece erano capi deliziosi, ma ovviamente non mi stavano. Spesso pensavo “Ma le ragazze robuste, non si vestono in modo sexy?”

Temevo che i miei amici iniziassero a pensare che avessi disturbi gastrointestinali.

A casa di un compagno di scuola, Giovanni, trovai delle cose stupende. Una guepiere rosa, trasparente; delle calze autoreggenti velate chiare. Mutandine rosa, coordinate con la guepiere. Non potevo non mettere quelle cose. Mi stavano anche bene! Mi sentivo molto carina.

Mi stavo guardando allo specchio, rimirando le mie forme, il mio seno, le mie chiappe e il mio cazzo che spuntava da sotto le mutandine. Si aprì la porta. Il mio compagno di scuola, mi vide e immediatamente chiuse la porta.

Diventai tutta rossa. Se avesse detto tutto agli altri, sarei stato rovinato. Mi sono cambiato in un attimo e sono uscito dal bagno. Mi venne in mente che potevo negare! Sarebbe stata la mia parola contro la sua.

Il mio amico non sembrava aver visto nulla. Continuammo a studiare come se nulla fosse capitato.

Il giorno dopo Giovanni mi restituì un libro. Era ovvio che qualcosa fosse cambiato, sicuramente da parte mia. Evitavo di guardarlo, e anche lui, mentre mi dava il libro sembrava non voler incrociare i miei occhi. Bene in vista c’era un foglio, dentro solo una frase: “anche io lo faccio, mi chiami oggi pomeriggio?”.

Passai metà pomeriggio a pensare se chiamare o meno. Ogni motivo era buono per non chiamare. Fare i compiti, aiutare mia madre. Ero disposto a fare tutto. Ma mi aveva detto due cose: che anche lui lo faceva e che voleva essere chiamato. Ma se fosse stata una trappola per farmi deridere dai miei compagni?

Ero veramente distrutto dall’indecisione. Il pensiero della guepiere rosa, mi spinse a chiamare.

Con il cuore in gola, tremando. Rispose la madre, chiesi di Giovanni. Lui prese la cornetta e mi disse semplicemente “Aspetta, che mi sposto”.

“Ciao Paolo, da quando lo fai? Io da quando avevo dieci anni. Praticamente tutto quello che mette mia sorella o mia madre, l’ho messo pure io e tu che metti? Io sono sempre stato molto prudente, e quel bagno, te lo dovevo dire, ha la serratura rotta, ma mi fa piacere di aver visto di non essere solo, stavi molto bene sai, certo ti ho visto solo per un attimo ma facevi una bellissima figura, e senti ti piace quel bustino? Anche a me molto, è una delle mie preferite che ha mia sorella. Per fortuna che è una cicciona, ah ah ah io la prendo sempre in giro, ma mi piace se no le sue cose non ci entrerebbero…”

Praticamente parlava solo lui. L’emozione era forte, per tutti e due, e mi sembra che lui la stemperasse così. Il segreto di quello che faceva, aver trovato qualcuno con cui condividerlo, lo esaltava. Al tempo non c’era internet.

Mi sentivo un po’ affogato in tante parole. Appena abbi un varco dissi “domani, posso venire da te?”

Sapevo che i suoi genitori, in genere, lavoravano fino a tardi, motivo per il quale c’eravamo visti tutti a casa sua per studiare.

Rimase in silenzio per un tempo sufficiente per farmi sospettare che forse avevo esagerando.

La risposta non arrivava, attimi interminabili, i miei sogni di rimettere quella guepiere, stavano scomparendo.

“Va bene per le 15?”

“Perché non vengo direttamente da te, usciamo da scuola insieme a andiamo a casa tua”.

“No, facciamo per le 15; è meglio”.

 

Come ci saremmo comportati il giorno dopo in classe? Potevamo evitarci, potevamo parlarci evitando ogni argomento, nascondendo qualunque emozione. Ora io sapevo che lui faceva la stessa cosa che facevo io: ci vestivamo da donna. Una cosa mostruosa, e lui non voleva più farlo da solo; neanche io.

Tutto il resto, però sarebbe dovuto rimanere come il solito.

E lui era implicitamente d’accordo.

Dal suo comportamento non trapelava assolutamente nulla della telefonata del giorno prima. Forse cercava di evitarmi.

Non passai da casa. Uscivamo alle 14, e non avrei mai fatto in tempo ad arrivare a casa mia, e poi a casa sua.

Rimasi a girare per l’EUR (quartiere di Roma). C’erano diversi negozi di abbigliamento aperti. Al tempo andavano di moda giacche e camicette con spalline allucinanti, pettinature vaporose e bottoni roboanti. Ovviamente rimasi ad ammirare un negozio di intimo. Seta, pizzi, e seni rotondi avvolti in tulle, ricami… chiffon. Il satin, più del resto, mi faceva letteralmente impazzire.

Citofonai.

Salii con il cuore in gola. Mi sembrava che il tempo non passasse mai. L’ascensore era lentissimo. Arrivato al pianerottolo, trovai la porta aperta. La spinsi, chiesi permesso ad alta voce. Giovanni mi disse di entrare, che stava nel soggiorno.

Stava vicino alla porta, i suoi capelli corti erano completamente scomparsi sotto una parrucca, liscia nera lunghissima sulle spalle; una camicetta a fiori, sgargiante, avvolgeva piacevolmente una quarta di seno; i fianchi torniti erano avvolti in una gonna grigia, al ginocchio; le gambe, la sinistra dritta, la destra leggermente piegata erano avvolte da calze color carne e portava delle Chanel con tacchi 5 cm.

“Sei bellissima” Fu l’unica cosa che riuscii a dire, poi lei cominciò a parlare senza fermarsi. Io ero eccitato, così tanto che i miei calzoni si bagnarono leggermente, alla punta del mio cazzo.

Parlava di tutto, di come aveva cominciato, di cosa faceva per sembrare più femmina di quello che poteva essere. Il discorso che più mi colpì fu di come faceva per nascondere quello che chiamava “la mia virilità” Si strizzava il cazzo dentro a mutandine molto contenitive.

Io mentre lei parlava, pensavo solo a potermi appartare per farmi una pippa.

“Vieni” mi disse Giovanna, prendendomi per mano. La sua mano era calda. Ci sedemmo sul divano, e lei accese la TV. La cassetta nel registratore iniziò a girare. Erano scene di donne che si spogliavano. Giovanna mi disse sorridendo: “Sono belle vero? Io comincio che non ce la faccio più” Si alzò la gonna, tiro fuori la sua virilità da dentro una guaina nera e comincio a masturbarsi. Io mi calai i calzoni, e le andai dietro. Farsi una pippa in compagnia mi fece sentire strano. Non l’avevo mai fatto, era sempre stata una cosa solitaria. Schizzai prima di lei, inondando il pavimento e sporcando il divano di pelle.

Lo sperma ha una strana caratteristica: quando va via, lascia una sensazione di vuoto, mentale più che fisica. Nei momenti successivi all’eiaculazione, cerco sempre di cancellare ogni traccia. Di dimenticare. Ma in quel caso, lei era mia testimone incancellabile e complice.

Anche lei schizzò. E forse pure lei iniziò a provare la stessa sensazione, visto come iniziò subito a pulire.

Così vestita, con lo straccetto in mano per pulire dove avevamo sporcato era proprio femmina.

“Ma quello che ho messo ieri l’altro, sta ancora al bagno?”

Lei mi guardò sorridendo. Andammo al bagno, trovammo ancora la guepiere, le calze, le mutandine. Mi spogliai completamente davanti a lei e cominciai a vestirmi.

Era troppo bello, era gioioso indossare quei vestiti.

In breve, ero davanti allo specchio della camera della sorella di Giovanni, a guardare il mio seno, il ventre guarnito dai ricami della guepiere, le calze che carezzavano le gambe, le mutandine che non riuscivano a contenere il mio cazzo, tornato duro e lungo.

“La tua virilità proprio non si sazia”, Giovanna me lo guardava.

“Sarà evidente anche sotto una gonna, me ne daresti una?”

Era così, una gonna a fiori, ampia, si rigonfiava visibilmente all’altezza del mio basso ventre.

“torniamo in soggiorno, magari hai bisogno di un altro giro di manovella”

Ci mettemmo comode sul divano, lei aveva addirittura incrociato le gambe. Io non riuscivo.

Il film erotico andava ancora avanti. Ora c’erano due bionde che si leccavano le fighe.

Le chiedo “L’hai mai fatto con una donna?”

Giovanna mi mise la mano sul ginocchio, “no, non l’ho mai fatto con nessuno”. La sua mano mi carezzava la coscia. La mia gonna era completamente alzata, le mie gambe larghe, il mio cazzo usciva dalle mutandine rosa, e la sua bocca me lo baciava, me lo leccava. La fermai quando sentivo i denti che mi davano fastidio. Ma la carezzavo. Mi bevve come un cucciolo beve dal capezzolo.

“E’ la prima volta che lo faccio”

“E’ la prima volta che me lo fanno”

 

Il film continuava a scorrere. Dopo la masturbazione era diventato banale. Ma Giovanna si era seduta vicino a me, sotto al mio braccio sembrava che dormisse.

“Come vuoi essere chiamata?”

Non mi aspettavo questa domanda, del resto, io ora la pensavo come Giovanna, ma non è detto che lei volesse quel nome.

Che strano: darsi un nome.

“A me Paola piace”

“Sai, anche a me”

Mi dette un bacio sulla bocca. Timido, appena accennato.

Lo ricevetti. Era il primo bacio che davo, che ricevevo.

“Ti vorrei baciare ancora”, le dissi, con un sussurro. Forse sulla spinta delle immagini delle due ragazze che non smettevano mai di farlo.

Ci baciammo. Lei si spinse fra le mie braccia. Era profumata, dolce, non volevo smettere. Mi sembrava di mangiarla.
In quel momento pensai che non occorresse essere un uomo e una donna per stare bene insieme. Eravamo insieme. Guardavamo un porno lesbo. Io mentalmente ero proiettata verso le due donne. Mi addormentai.
“Paola, su, svegliati, ti prego” Era Giovanna. Mi muoveva delicatamente per svegliarmi.

Portavo ancora i vestiti della sorella.

“Paola, fra un po’ torneranno i miei, devo sistemare tutto, levati queste cose, mettile a lavare. Ma spingile in fondo alla cesta, ti prego, sbrigati”.

 

I libri erano diventati il veicolo dei nostri messaggi.

Iniziò lei mandandomi questa poesia che aveva copiato su un foglio.

 

Amai teneramente dei dolcissimi amanti

senza che essi sapessero mai nulla.

E su questi intessei tele di ragno

e fui preda della mia stessa materia.

In me l’anima c’era della meretrice

della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.

Molti diedero al mio modo di vivere un nome

e fui soltanto una isterica.

(da “La gazza ladra” Alda Merini)

 

Non conoscevo questa poetessa.  
Rimasi colpito dalla frase: “senza che essi sapessero nulla”.

Amava senza che lo sapessero. Come si poteva sopravvivere al dolore del non far sapere?

Ritrovare in quelle parole il mio dolore, dell’amare una ragazza, senza essere ricambiato, anzi: senza neanche che lei lo sapesse.

Oltre alla poesia mi scrisse scritto qualche frase, sempre sullo stesso tema. Diceva: ‘anche io amo senza che lo sappia nessuno. Anche io provo desideri, faccio sogni, immagino. Mi masturbo e tutto passa. Mi odio per come mi consumo nel silenzio, nell’isolamento, Paola mi sei preziosa’

 

Anche lei ‘mi è preziosa’. Non solo per i momenti che passavamo insieme, a masturbarci con i vestiti della sorella. Era bello provarli, indossarli. Capii allora quanto mi fosse di peso la solitudine. Non immaginavo quanto la subissi il silenzio; vivevo sotto una cappa di piombo e non me n’ero mai accorta.

Glielo scrissi ‘prima di te non sapevo quanto fossi sola’

Sì, scrissi al femminile. Non so perché, mi parve naturale.

‘Non sapevo quanto mi pesasse il silenzio, il mistero nel quale mi nascondevo. Non sapevo che si può essere libere’

 

E i messaggi diventarono continui e preziosi. Conferme di quel sodalizio. Quella pratica mi insegnò ad esprimere i miei sentimenti.
È stupendo.

Non avevo mai scritto lettere di quel tipo e con la pratica miglioravo enormemente.

Desiderando scrivere qualcosa di nuovo e originale scavavo dentro di me e trovavo emozioni e pensieri che credevo di non avere. Non come i grandi poeti, ma almeno una consapevolezza dell’avere emozioni e poterle esprimere.

 

Altro appuntamento da Giovanna. Sempre a casa sua, prima, in giro per l’EUR, senza meta. Vedo Letizia, la ragazza che amavo. Lei mi salutò e poi una valanga di frasi.

“Sì, sto in giro, no, non ho fatto sega. È che questa primavera è colorata, mi riempie del suo profumo, non speravo di poterti incontrare, ti va di fare due passi insieme? Ah, devi tornare a casa che ti aspettano. Possiamo un altro giorno? No, non ho bevuto, è forse la primavera, il profumo dei fiori, questi alberi che ti fanno da cornice; e che volevo dirti che sei bellissima e che se solo avessi immaginato questo momento, se avessi voluto organizzare questo incontro, non sarei riuscito meglio. Ora è capitato per caso, e voglio dirtelo. Sei bellissima, e tutti i fiori, tutti i colori, a tuo confronto diventano come quei film in bianco e nero che ogni tanto si vedono ancora in tv. No, non ho bevuto, e vorrei rivederti, ora hai da fare, ti posso chiamare?” Lei chinò il viso, deliziosa, intimidita dal mio complimento che però apprezzava. La vidi andare via. Rimasi fermo e dopo qualche passo si girò per guardarmi e salutarmi da lontano. Poi svanì fra le strade dell’EUR.

Pensai che avrei voluto scavare una fossa per nascondermi.

 

 

 

Riprendo il giro che avevo interrotto. Mi fermo ad un fioraio. Comprai una rosa. Pensai a Letizia, ma era per darla a Giovanna. La nascosi in un foglio di giornale.

Quando la vide, si emozionò, così tanto da farle spuntare una lacrima. Mi disse “Dai, vatti a cambiare.”

Ci baciammo. Le nostre bocche si unirono. Adoro baciare, adoro baciare Giovanna, magari è lo stesso baciare Letizia. Ha capito che ho sempre fame di lei, che vorrei il bacio non finisse mai.

Sì, siamo due maschi che si baciano. Ogni tanto me lo ripetevo, perché quei baci mi facevano dimenticare tutto, tranne Letizia. ‘Siamo due maschi che si baciano’, ma non importa. Voglio baciare Giovanni e Giovanna. Il resto non contava, o quasi.

“Paola, ti devo fare una confessione”

Mi ricopre di belle parole, di complimenti, di delicate attenzioni. Ma alla fine, me lo disse. Amava un ragazzo. Crede di essere ricambiata. Si erano incontrati qualche volte e avevano fatto sesso, completo. Ci tenne a dirmi che lo conosceva da prima di me, ma lui non si era mai rivelato.

È possibile avere nel cuore due persone? Letizia rappresentava il desiderio di sempre, Giovanna era il presente, e l’immediato passato. Era importante per me, perché mi aveva fatto nascere. Ma capivo che fra noi c’era solo amicizia, complicità, e affiatamento onanistico.  

Però mi sarebbe mancato, e non era il masturbarsi insieme o il mettere i vestiti della sorella, era proprio lui che mi mancava, i suoi baci.

Ok, per lui non era la stessa cosa; o forse sì, ma amava un altro.

A scuola ci evitiamo.

Sto veramente male.

 

Ho scritto a Letizia.

L’avventura con Giovanna mi insegnò molte cose. Esprimere le emozioni, parlare dei miei sentimenti, lasciare che fluissero da me e comunicarli. Letizia mi rispose.

Scoprire Paola, ha fatto di me, un Paolo migliore

 

Commenti

Post popolari in questo blog

12/03/2024 Mimmo

Buona Pasqua, Buona Morte (come sentivo urlare Carmelo Bene in un vecchio video)